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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La liturgia ci presenta oggi una delle pagine più belle della bibbia, il capitolo quindicesimo di Luca, in cui Gesù narra le tre parabole della misericordia: quella della pecora perduta e ritrovata; quella della moneta perduta e ritrovata, quella del figlio perduto e ritrovato. Perché Gesù ha raccontato queste tre parabole? I peccatori si avvicinano a Gesù per ascoltarlo e la gente “perbene”, invece di rallegrarsi, mormora. Sembra di assistere a tante esperienze delle nostre parrocchie: la difficile accoglienza di chi magari ai nostri occhi è ormai fuori dalla chiesa. Gesù tramuta questa mormorazione in insegnamento, dove ciascuno di noi è chiamato a scegliere da quale parte stare: dalla parte di un Dio misericordioso o dalla parte di chi si ferma solo a condannare?
Le prime due parabole ci presentano la ricerca del poco (una pecora, una moneta), che per Dio è sempre molto. In ambedue le parabole notiamo che, quando la ricerca ha prodotto esito positivo (è stata ritrovata), vi è grande gioia comunitaria. La conversione non è mai una esperienza privata, ma di comunità. La terza parabola, invece, è il vertice del Vangelo. «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”». Il figlio, avendo voluto in anticipo il patrimonio commette un gesto di arroganza e di disprezzo verso il padre. Chiedendo l’eredità prima del tempo è come se dica: «Tu non conti niente per me, a me interessa solo il tuo denaro, dammelo!». E il padre si piega alla richiesta del figlio, perché l’amore non si può imporre ma soltanto donare e ricambiare. Il cuore del padre, ovviamente, è in pena, ma accetta ciò che il figlio ha deciso. Gesù continua dicendo che il padre «divise tra loro le sue sostanze ». Queste parole ci fanno comprendere che Dio mai fermerà la libertà dell’uomo! Dio non può costringere l’uomo, pur amandolo immensamente. Dopo aver ricevuto il denaro, «partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto». Questo giovane si diverte sperperando le fatiche del padre. Quando non ha più niente, perde gli amici e prova la fame, perde anche l’arroganza. Ciò significa che il peccato delude e si sta male lontano da Dio poiché senza il Padre la vita è amara. Questo figlio prova il dolore, la solitudine, l’umiliazione: va a pascolare i porci! Per la mentalità dell’ebreo era la condizione più abietta. Ma ecco la novità. Quel figlio inizia a capire, ripensa a ciò che ha perso, pensa alla sua casa, al padre. Ed è in quel momento che decide di ritornare, di chiedere perdono: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te». Qui accade l’incredibile! Questo figlio, che si è perso negli abissi del peccato, continua ad essere amato dal padre, il quale lo accoglie a braccia aperte. Umanamente parlando, questa scena non riusciamo a comprenderla, però, se ragioniamo secondo la logica di Dio, tutto si può spiegare. Ciò significa che Dio dimentica le nostre colpe e, ogni volta che ritorniamo a lui pentiti, fa festa non da solo ma con la comunità. Dio non ama il peccato degli uomini, ma continua ad amarci nel nostro peccato, ci riconcilia con lui mentre noi siamo peccatori! Poi Gesù parla anche del figlio maggiore, il quale al suo ritorno dai campi, «udì la musica e le danze», allora, «chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo». Alla risposta del servo il fratello maggiore «si indignò ». Questa reazione nasce dalla gelosia, che non è non è amore eccessivo, ma mancanza di amore. Il primo è andato via di casa, ma poi è tornato pentito e a capo chino: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Il secondo, invece, non ama il padre perché il suo cuore è lontano da lui: egli non accetta la misericordia di suo padre. Il secondo figlio potrebbe essere ciascuno di noi! Sorge una domanda: di fronte a coloro che si allontanano da Dio e dalla comunità, noi come reagiamo? Ci lamentiamo che le nostre chiese sono sempre più vuote. Perché oggi molte persone non vengono più in chiesa? Tutti noi dobbiamo fare un esame di coscienza e chiedere perdono al Signore per i nostri comportamenti non cristiani che scandalizzano i piccoli (nella fede). L’apostolo Paolo, nella prima lettera a Timoteo, presenta sé stesso come prova vivente dell’infinita misericordia di Dio che lo ha trasformato da persecutore a testimone del Vangelo. Per questo ogni peccatore può avere fiducia nella volontà di Dio che vuole salvare tutti. Come per la preghiera di Mosè, Dio non abbandona il suo popolo ostinato nel rifiuto del suo amore (I Lettura), così, per intercessione di Gesù Cristo, che sempre intercede per noi, il Padre nostro che è nei cieli, ha misericordia per tutti i peccatori che si convertono.