Perché Dio sia tutto in tutti
Commento al Vangelo di domenica 26 novembre 2023 - XXXIV Domenica del Tempo Ordinario - Cristo Re dell'Universo - Anno A
di Michele Pittalis
Lorenzo Monaco, Antifonario (Cod. Cor. 1, folio 102), 1396
4' di lettura
24 Novembre 2023

La solennità di Cristo Re, che conclude l’anno liturgico, si può considerare tanto un punto di arrivo del cammino della liturgia della Chiesa in ascolto della Parola, quanto una chiave di lettura dell’intera storia della salvezza. Celebrare Cristo Re significa riconoscere che esiste una Signoria di Dio, attuata in Gesù suo Figlio, a cui la storia è sempre sottoposta, anche quando essa sembra prigioniera degli sconvolgimenti e dei travagli dell’umanità.

Gesù, dinanzi a Pilato, ammette la sua identità regale. Ma è evidente che siamo su un piano completamente diverso rispetto al modo di intendere la regalità secondo il mondo. C’è anzitutto un’immagine, offerta dalla prima lettura, che immediatamente ci fa comprendere che un aspetto essenziale dell’esercizio della regalità del Signore è la vicinanza di Dio al suo popolo, la ricerca e l’attenzione verso chi si è allontanato, la premura verso chi è nel bisogno, una prossimità assolutamente personale di Dio a ciascuno. È l’immagine del pastore, che biblicamente è ampiamente attestata in tutta la sua ricchezza espressiva.

Si nota anzitutto, l’insistenza sull’“io” di Dio. È come se il Signore volesse rimarcare che il vero protagonista della salvezza è Lui, che è Lui che si muove e ci viene incontro, che è il Suo amore a spingerlo ad incamminarsi verso di noi e manifestarci la sua premura di Padre e pastore. Tutto è opera sua. Riconoscere la regalità di Gesù, allora, è anzitutto accogliere la sua iniziativa, perché c’è Lui dietro ad ogni dono di salvezza che noi viviamo, Lui tiene le redini della storia, Lui è pronto ad intervenire con potenza nella nostra vita.

Secondariamente, emerge l’uso ripetuto del pronome personale “mio”, a dire che siamo suo gregge, sue pecore, suoi figli! Questo deve farci capire che davvero noi non siamo degli estranei per il Signore. Egli non solo ci conosce personalmente, ma personalmente ci ama, perché sa cosa siamo e come siamo. Lui ci pasce “con giustizia”, cioè esercitando il suo amore misericordioso, con particolare sollecitudine verso chi è “smarrito”, “ferito”, “malato”, senza trascurare chi è “forte”. Gesù è Re perché pastore, è Lui infatti che ha realizzato in pienezza l’amore di Dio verso ciascuno, e lo ha reso visibile.

Nel Vangelo ascoltiamo l’ultima delle tre parabole “escatologiche” di Matteo, quella più chiara nel descriverci il destino ultimo dell’uomo. Gesù si presenta assiso “sul trono della sua gloria”. È chiaramente un’immagine regale, ma che si esprime in particolare nel giudizio. Esiste infatti un’universalità del giudizio: tutti i popoli saranno radunati dinanzi al Signore. Non esistono distinzioni né privilegi. Tutti ci ritroveremo un giorno dinanzi al Signore, chiamati a rendere conto della nostra esistenza. Non potremo accampare né diritti né esenzioni, solo rispondere su quanto amore avremo saputo donare. La nostra capacità di amare sarà il discriminante: l’amore dividerà gli uni agli altri: quelli che, anche non sapendolo, avranno dato amore, saranno separati da coloro che avranno preferito essere schiavi del proprio egoismo.

Sarà l’esame finale della nostra vita, e Gesù è stato così buono e misericordioso da rivelarci prima anche le domande che ci verranno poste. Si tratta di un amore concreto, che trova espressione in scelte e azioni conseguenti. Non c’è posto per un amore fatto solo di parole e di superficialità. Si fa in fretta a coniugare il verbo ‘amare’ in tutte le sue forme, ma se questo amore non diventa pane per l’affamato, acqua per l’assetato, ospitalità per lo straniero, vestito per chi è nudo, attenzione verso chi è malato o carcerato, noi ci escludiamo dalla benedizione. Tutto ciò che è fatto al più piccolo, ci avverte Gesù, è fatto a Lui. Regalità di Cristo è il giudizio, ma soprattutto la testimonianza dell’amore. È l’amore che fa essere Dio e noi stessi “tutto in tutti”. 

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