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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
“Il Signore è buono e grande nell’amore”. Non è difficile scorgere nella Parola di Dio offertaci questa domenica il contrasto stridente che esiste tra il modo di amare di Dio e quello dell’uomo. Dio ama immensamente, senza misura, senza condizione, senza ripensamenti, sempre con sovrabbondanza di misericordia. L’uomo, invece, porta in sé il limite della sua creaturalità, anche riguardo all’amore.
Il libro del Siracide rimarca questa differenza nell’amare, descrivendo il contrasto inconciliabile tra un cuore che cova rancore e odio e la stessa possibilità della preghiera e del rapporto personale col Signore. Il perdono delle offese ricevute, l’apertura del cuore e la disposizione al perdono, non sono opzionali nell’esperienza di fede e in un serio discepolato. Il perdono dato è condizione e misura del perdono ricevuto, ed è anche la condizione necessaria per poterci rivolgere a Dio nella verità.
Il contesto del brano evangelico ci fornisce delle indicazioni utili per comprendere il discorso sul perdono, aiutandoci a fissare alcuni punti essenziali. Siamo infatti quasi alla fine del “discorso ecclesiale”. L’esperienza del perdono è allora un fatto ecclesiale, che si vive nella Chiesa, perché se ne fa esperienza in quanto membri della Chiesa; e si vive attraverso la Chiesa.
Il Vangelo ci ricorda anzitutto che per giungere al perdono è necessario disporre il proprio cuore ad un ascolto intenso della Parola e ad un’obbedienza maggiore alla volontà di Dio. Perdonare è un esercizio di umiltà: senza la disponibilità a fare un passo indietro per il bene supremo della pace, non è possibile perdonare ed essere veramente liberi.
Proseguendo, si comprende come perdonare richieda di “tagliare” ciò che è di scandalo, cioè di impedimento, rinunciando consapevolmente a ciò che appesantisce il nostro cuore. Gesù che cerca la pecora smarrita, quindi cerca noi, e l’insegnamento sulla correzione fraterna e alla potenza della preghiera comunitaria, costituiscono la base su cui si fonda il Vangelo di questa domenica.
Pietro si accosta a Gesù, e pone la domanda fatidica: “Quante volte dovrò perdonare?”, considerando le “sette volte” quasi esagerate, o comunque già una concessione straordinaria. La risposta di Gesù non lascia dubbi: si deve perdonare sempre.
La “parabola del servo malvagio” presenta la realtà del perdono nella sua duplice dimensione: da una parte il perdono ricevuto e sperimentato da parte di Dio, e dall’altre il perdono che siamo chiamati ad offrire agli altri. Volutamente, infatti, Luca presenta la sproporzione esistente tra il debito del servo malvagio nei confronti del suo padrone (diecimila talenti equivalgono a 340 tonnellate d’oro!), e il debito irrisorio del secondo servo rispetto a quello malvagio. Alla supplica del primo servo, il padrone condona immediatamente il debito: la giustizia è superata dalla misericordia.
Quando il servo incontra l’altro servo che gli deve trecento denari, la scena e le parole sono pressoché identiche. È l’atteggiamento del servo nei confronti del “servo come lui” ad essere sorprendente. Non c’è spazio per il perdono, ma solo per una giustizia cieca e oppressiva.
Importante è poi il ruolo degli altri servi, che costituisce un chiaro riferimento ecclesiale, i quali raccontano al padrone quanto accaduto, sicché il padrone ordina per il servo malvagio la stessa sorte che lui ha voluto infliggere al secondo servo.
Il vero cristiano, ci ricorda San Paolo è colui che vive e muore per il Signore. È Lui l’orizzonte ultimo della nostra vita. “Noi siamo del Signore”, perciò impegniamoci a concretizzare la nostra appartenenza a Lui, vivendo l’esperienza del perdono ricevuto per essere capaci di offrire lo stesso perdono a chi ci offende.
Perdonare è un cammino. Anche dire “non ce la faccio” può essere una trappola! Preghiamo che il Signore susciti sempre nel nostro cuore il desiderio e la volontà di condividere la gioia del perdono.