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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
L’itinerario del tempo pasquale ci offre in questa domenica una sosta importante, prima della Solennità dell’Ascensione, che inaugura il tempo di attesa del dono dello Spirito. La figura del Paraclito si affaccia già in questa domenica nel Vangelo di Giovanni, dove viene chiamato “Spirito della verità”, perché è lo Spirito a rivelare l’identità del Signore Gesù, che conduce alla comprensione della Parola di verità del Vangelo, che mostra l’iniquità del mondo portando alla luce il peccato degli uomini. Il mondo «non lo vede e non lo conosce» e quindi non lo può ricevere, perché lo Spirito è in antagonismo con il mondo, intendendo questo termine nel senso giovanneo, come insieme di tutto ciò che si oppone al piano di salvezza di Dio.
La prima lettura è una splendida pagina degli Atti degli Apostoli. Filippo è in Samaria. Il popolo popolo considerato drasticamente lontano dalla salvezza, accoglie con una grande disponibilità la parola di Filippo: «prestavano attenzione» alle sue parole, considerando anche i segni di liberazione e di guarigione che compiva e che accompagnavano l’annuncio della Parola. «Vi fu grande gioia in quella città».
L’ascolto della Parola conduce ad un frutto essenziale e intenso: la gioia. Probabilmente ci manca questa capacità di percepire la gioia che emana da un ascolto attento ed esistenziale della Parola di Dio. Non si tratta di un ascolto cerebrale, bensì siamo dinanzi ad un ascolto profondo, che conduce alla comunione con Dio, fonte della vera gioia. In questo contesto di letizia, la presenza di Pietro e Giovanni si fa preghiera e invocazione «perché la gioia sia piena» nel dono dello Spirito Santo. E sappiamo, ce lo ricorda Paolo nella Lettera ai Galati, che il secondo frutto dello Spirito, dopo l’amore, è proprio la gioia. La gioia è figlia dell’amore, del sapersi amati e dell’amare.
Le parole di Pietro nella seconda lettura tracciano quasi un itinerario di fede. Anzitutto, l’invito ad adorare nella parte più profonda del nostro essere, per offrire al Signore l’omaggio della nostra lode e della nostra adorazione, sottomettendogli la nostra stessa vita. L’adorazione di Cristo nei nostri cuori, cioè l’essere consapevoli della presenza viva di Gesù in noi, questa adorazione, genera rapporto di intimità, di conoscenza profonda con il Signore Gesù, da cui nasce la testimonianza cristiana, che Pietro presenta con queste parole essenziali: «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi».
Annunciare le «ragioni della nostra speranza» significa mostrare che la nostra fede cristiana non è in contrasto con la ragione, ma è in grado di parlare ancora all’uomo contemporaneo. È Cristo morto e risorto a fondare la nostra speranza. La testimonianza, da vivere e realizzare sempre «con dolcezza e rispetto», si identifica con una condotta ineccepibile. Fare il bene è già annuncio del Vangelo.
Il brano del Vangelo si apre e si chiude con la stessa affermazione. Gesù mette in relazione l’autenticità dell’amore con l’osservanza dei comandamenti. Bisogna evitare la grande tentazione di un amore fatto di parole vuote, di sole buone intenzioni, di compassioni sterili e lontane, di sguardi fuggevoli, di inutili ipocrisie. È facile parlare dell’amore, ma è difficile vivere dell’amore e nell’amore. Conosciamo bene quanto questa parola, così espressiva da essere il nome stesso di Dio, sia oggi talmente abusata da aver perso quasi tutta la sua forza.
L’amore vero comporta l’osservanza dei comandamenti, l’accoglienza di quelle “regole di vita” che il Signore ci ha affidato perché viviamo la vera libertà. Per poter accogliere la verità, il Signore invia un «altro Paraclito»: è Gesù il primo Paraclito, lo Spirito è il continuatore della sua opera e il garante della promessa. Lo Spirito è il maestro della verità, perché ci fa conoscere le ragioni del nostro sperare. L’amore dello Spirito è in noi e ci avvolge con la sua dolcezza. È lo Spirito che realizza le parole di Gesù: «Non vi lascerò orfani».