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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Per la terza domenica consecutiva, è ancora la ricchissima immagine biblica della vigna ad essere protagonista della liturgia della Parola. Guardando ad essa comprendiamo sia l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’umanità e del mondo, sia quale debba essere il nostro atteggiamento in risposta a questa opera di Dio. Giungiamo infatti ad un’altra parabola, di tenore molto diverso, caratterizzata dalla netta contrapposizione tra la sensibilità del padrone, che manda costantemente i suoi servi nella vigna, e il comportamento degli operai, che non solo respingono i servi, ma alla fine uccidono anche il figlio, per impossessarsi della vigna.
Il testo di Isaia prepara il brano evangelico, riportando un testo splendido, forse il vertice di tutta la simbologia biblica della vigna. È insieme un canto d’amore, che descrive l’attaccamento e la sollecitudine di Dio per il popolo di Israele, ma anche la dura constatazione di come il popolo possa opporre alla fedeltà di Dio la propria infedeltà, chiudendo il cuore. La prima parte del testo isaiano, descrive con accenti poetici tutte le azioni compiute da Dio per la vigna-Israele. Ognuna di queste caratteristiche nasconde una particolare simbologia. Questa vigna è stata circondata da Dio di un amore specialissimo, di predilezione: dal luogo della sua collocazione, all’impegno di Dio per garantire la bontà della terra, alla uva e alla scelta di viti “pregiate”, fino a tutte le opere di contorno e di difesa.
Ci sono tutte le caratteristiche perché la vigna produca frutto e che questo frutto sia buono. Invece, come amaramente constata il testo biblico: «essa produsse, invece, acini acerbi». Nonostante Dio abbia manifestato al suo popolo un amore assolutamente unico e totale, il popolo non è stato drammaticamente in grado di portare frutto, e non perché non vi fossero le possibilità, ma perché il popolo è prigioniero della sua malvagità. Anche noi siamo stati scelti da Dio e costituiti per portare frutto, ma invece preferiamo spesso le tenebre alla luce, e mentre potremo portare nel mondo il “buon sapore” dell’amore fraterno, produciamo al contrario la “uva acerba” della discordia e della divisione. Non siamo nel mondo per caso, né tantomeno senza un preciso senso e una chiara missione. Siamo stati “piantati” in questa terra per portare il frutto dell’intima comunione con Dio, che diventa testimonianza della carità, nella fedeltà totale alla volontà del Signore.
Il brano del Vangelo riprende in buona sostanza la tematica della prima lettura. Anche in questo caso, il padrone che pianta la vigna, la tratta con speciale attenzione, ma poi la dà in affitto a dei contadini, e parte. Non sceglie di coltivarla direttamente, ma affida la cura della vigna ad altri, che ovviamente devono corrispondere al padrone la sua parte dei frutti. C’è da parte di Dio una straordinaria fiducia nell’uomo. Dio non è un cecchino che attende l’occasione propizia per colpire. Ma mostra una straordinaria fiducia nell’uomo, ben sapendo che l’uomo può anche tradire. Eppure si fida, continua a fidarsi, non smette mai di fidarsi.
A questa fiducia di Dio, tuttavia, corrisponde nel Vangelo l’arroganza e la cattiveria degli operai. I servi che il padrone manda per ritirare legittimamente il raccolto vengono bastonati, respinti, uccisi e lapidati. Il padrone, decide quindi di mandare il proprio figlio, chiaro riferimento a Gesù, pensando che almeno lui possa essere rispettato dai servi, invece il cuore dei servi è ottenebrato dal peccato, e decidono di uccidere anche il figlio, dopo averlo cacciato fuori dalla vigna.
I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, a cui questa parabola è rivolta, alla domanda di Gesù, riconoscono che quei vignaioli meritano la morte e che la vigna sia affidata ad altri. Stiamo attenti anche noi a non cadere nello stesso atteggiamento dei servi ribelli. Dio non vuole che siamo vigna improduttiva, ma che portiamo frutti di santità e di vita eterna, aprendo a Lui il cuore e la vita.