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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La solennità dell’Epifania costituisce l’ideale compimento dell’itinerario del Natale. In essa infatti il Signore si rivela come Salvatore all’intera umanità, rappresentata in qualche modo dai Magi, figura dell’uomo in ricerca, capace di leggere i segni di Dio, seguendo i quali può incontrare l’onnipotenza dell’Eterno nascosta nella fragilità di un Bambino.
Dall’Epifania alla festa del Battesimo di Gesù corrono idealmente quasi trent’anni, comunemente indicati con l’espressione “vita nascosta”, sui quali sostanzialmente i Vangeli canonici tacciono, escludendo l’episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio. Proprio in occasione del suo battesimo al fiume Giordano, Gesù si manifesta ancora, in mezzo al suo popolo, come il Messia atteso da Israele, e quindi come la risposta di Dio ad ogni attesa dell’uomo.
È la vita stessa a farci prendere coscienza della nostra incompletezza, di quella agostiniana inquietudine che agita il nostro cuore, e che nulla di ciò che ricade sotto il nostro sguardo – nemmeno gli affetti – può effettivamente soddisfare. Ognuno di noi ha necessità di scegliere la propria strada, di decidere a chi dare credito, per vivere quindi in maniera piena e significativa. È per questo che il tempo natalizio contiene in sé una sorta di “pedagogia della rivelazione”: prima ai pastori, poi ai Magi, in ultimo ad Israele e a tutta l’umanità. La scoperta di Gesù come nostro Salvatore è sempre graduale e progressiva.
L’evento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano è quindi un momento rivelativo fondamentale. Non solo per la presentazione di un Gesù solidale con l’umanità peccatrice e bisognosa di redenzione, ma soprattutto perché, proprio al Giordano, la predilezione del Padre per ciascuno di noi è annunciata attraverso l’elezione e la missione del Figlio. In Lui e nella sua Parola è ormai tracciata la via definitiva per la salvezza,
Il racconto evangelico di Matteo è una vera “manifestazione di Dio” (teofania): i cieli aperti indicano ormai il superamento di ogni divisione o opposizione tra il cielo e la terra, ogni ostacolo è tolto, è inaugurato il tempo della reciproca comunicazione. L’Incarnazione ha permesso definitivamente alla Divinità di “entrare” nella storia umana, il cielo si è stabilito sulla terra, la natura mortale partecipa della dignità perenne del Verbo Incarnato. Non vi è più distanza tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio.
Giovanni si meraviglia quando si trova dinanzi Gesù, tanto che Egli è costretto ad insistere, perché si “adempia ogni giustizia”, cioè si compia il disegno d’amore del Padre, che chiama il Figlio a farsi carico del peccato dell’umanità, ad assumere in Sé tutta la nostra fragilità e miseria. Il Padre rivela al Giordano non solo l’identità del Figlio, ma soprattutto la sua missione. Ecco perché lo Spirito Santo scende su Gesù e lo consacra annunciatore della Parola, che l’uomo smarrito e confuso, è chiamato ad ascoltare ed accogliere.
Anche nella prima lettura del profeta Isaia il Signore presenta il suo Servo, così come il Padre nel Vangelo presenta Gesù. È Lui il vero Servo del Padre, sul quale riposa tutta la compiacenza di Dio e su cui riposa lo Spirito Santo.
“Questi è il Figlio mio, l’amato”. Queste parole, rivolte a Gesù, sono in realtà per noi. Dinanzi ad esse dovremmo sentire consolazione e gratitudine. Ognuno di noi infatti è, in Gesù, “figlio amato”. Non è facile accettare di essere figli di Dio. Talvolta l’illusione della libertà ci porta a vivere da schiavi, non da figli. Eppure. è necessario che la realtà della figliolanza divina, donataci nel Battesimo, pervada davvero tutta la nostra vita.
La compiacenza divina, infatti, riposa anche su di noi nella misura in cui accogliamo nella nostra vita il Dio che “non fa preferenza di persone”, lasciandoci amare da Lui, accettando di appartenergli, e quindi vivendo il nostro Battesimo.