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L’Ortobene
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08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Chissà cosa avevano nel cuore le donne mentre si recavano al sepolcro al mattino presto, all’alba del primo giorno dopo il sabato. L’esperienza del Golgota aveva sicuramente gettato nello scompiglio e nell’incomprensione il loro cuore. All’immagine di Gesù, schernito, oltraggiato, insultato, deriso, torturato in modo indicibile e infine crocifisso, si unisce la delusione e la tristezza della solitudine, l’amarezza per il sogno infranto, lo sgomento per l’umiltà e l’obbedienza con cui Gesù si è assoggettato alla Passione e alla Morte senza alcun cenno di protesta o di recriminazione.
Gesù è poi posto nel sepolcro, il “Verbo uscito dal silenzio” ritorna al silenzio primigenio, al silenzio surreale della morte e della tomba, al silenzio della terra. E tutto sembra morire in quella tomba. È come se nel sepolcro ci siano finiti anche i cuori dei discepoli e delle donne. Rimane un’unica cosa da fare, un ultimo gesto di pietà e di attenzione, verso il corpo del Signore ormai esanime: l’unzione con gli oli aromatici.
Ma l’afflizione non è destinata a durare a lungo. In mezzo all’oscurità della morte e della sepoltura, sta per elevarsi una luce ineguagliabile, che riaccenderà nei cuori la speranza e la pace. Le donne trovano la pietra del sepolcro ribaltata. È successo qualcosa, l’imprevedibile, l’imprevedibile di Dio.
Dinanzi alla loro incapacità di comprendere, irrompe l’annuncio che cambia il corso della storia e di ogni vicenda umana: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». Dio Padre ha detto “no” alla morte, e nello Spirito, ha risuscitato il Figlio Gesù, perché sia sempre vivo ad intercedere per noi.
Quante volte il nostro rapporto con Dio non è con una persona viva, ma con un’idea o un concetto? Quando preghiamo, parliamo con una Persona vivente o con un “tu indefinito”? Abbiamo davvero il senso dell’esistenza e della vita di Dio? Crediamo davvero che Gesù sia vivo, oggi, qui?
Questa è la Pasqua: l’annuncio della vita che riprende dopo l’oscurità della morte, annuncio del trionfo della vita, della vittoria di Cristo, dell’onnipotenza d’amore di Dio. «Non è qui, è risorto». Gesù non è più prigioniero della morte, non è più prigioniero di una fredda tomba. Ma vive!
I Padri della Chiesa hanno dato fondamentalmente due connotazioni alla Pasqua, entrate poi anche nella dimensione liturgica, soprattutto nell’Exsultet. Da una parte c’è la “Pasqua di Cristo”, dall’altra la “Pasqua del cristiano”. C’è una dimensione della Pasqua che riguarda l’evento e un’altra che riguarda noi. Per tanto tempo queste dimensioni sono state tenute quasi separate. Fu Sant’Agostino a sottolineare che le due dimensioni della Pasqua sono complementari e che pertanto vanno mantenute insieme. La prima dimensione infatti commemora il passaggio di Gesù dal mondo al Padre, dalla morte alla vita, dalla passione alla gloria, quello cioè che i Vangeli ci raccontano. La seconda dimensione invece riguarda, per noi, il passaggio dai vizi alla virtù, dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla grazia. La Pasqua del Capo diventa anche Pasqua delle membra.
La Pasqua è il fondamento della nostra speranza. “O felice colpa”, canta con un certo ardimento l’Exsultet. L’annuncio della Pasqua è l’annuncio di un sempre possibile nuovo inizio, di una nuova vita che sempre può ricominciare; è l’annuncio della definitiva sconfitta della morte, dell’antico avversario, per cui siamo immersi nella vita e nella gioia. Se la liturgia arriva a definire “felice” la colpa di Adamo, perché ci ha meritato un così grande Redentore, significa che la Pasqua è sempre un’alba nuova.
Scrive Melitone di Sardi, nella sua celebre Omelia sulla Pasqua: «Egli ci ha fatti passare dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla redenzione. Perciò diciamo davanti a lui: Alleluia!». Sta a noi accogliere questo annuncio e vivere da “risorti”.