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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Dopo la simbologia della vigna, ecco che Gesù ci propone una nuova immagine, profondamente radicata anche nell’Antico Testamento: quella del banchetto. Siamo sempre nel Tempio di Gerusalemme, gli interlocutori di Gesù sono gli stessi: sta infatti parlando ai capi dei sacerdoti e agli anziani, ai garanti e testimoni della vera religiosità di Israele, di cui il Tempio è riferimento sommo.
Gesù continua a parlare della proposta di salvezza da parte di Dio e della diversità delle risposte che l’uomo può dare, sottolineando però anche le conseguenze immediate di questa risposta, sia in senso positivo che negativo. In più, Gesù evidenzia che questa risposta compete esclusivamente all’uomo e alla sua libertà. Da parte di Dio, c’è un’incessante premura, un’attenzione continua, una chiara volontà di salvezza.
In un certo senso, possiamo dire che la parabola del banchetto nuziale del figlio del re, costituisca il punto di arrivo di questa tematica. Già nelle parabole sulla vigna emergeva il riferimento anzitutto alla premurosa attenzione di Dio, quindi alla libertà umana: se il terreno è fertile, se la vite è pregiata, se la coltivazione è stata buona, necessariamente anche il frutto deve essere buono. Se così non è, fuor di metafora, è perché noi abbiamo scelto liberamente e in opposizione alla nostra stessa vocazione di non portare frutto e di produrre uva acerba.
La simbologia del banchetto evoca grande familiarità, spontaneità di relazioni e di dialogo, la caduta di barriere relazionali formali e imprigionanti, e permette una certa confidenza. Basta ripercorrere la Sacra Scrittura per rendersi conto di quanto l’immagine del banchetto esprima appieno la nuova relazione, la nuova alleanza che Dio intende stabilire con il suo popolo. Passando alla pienezza della rivelazione, Gesù stesso affida al banchetto eucaristico, memoriale del suo sacrificio salvifico, proprio il veicolo e la ripresentazione sacramentale della sua nuova presenza, fino alla consumazione dei secoli.
Volendo evidenziare alcuni aspetti del testo evangelico, ci rendiamo subito conto che i verbi “chiamare” e “invitare” compaiono più volte. Si può quasi dire che alla base di questo Vangelo ci sia quasi una storia vocazionale. Non è un banchetto qualunque. È un banchetto nuziale, a cui alcuni sono invitati ed altri no.
Colpisce, ancora una volta, l’atteggiamento degli invitati e anche la sorte dei servi che il re invia per recare l’invito. Gli invitati alle nozze si rifiutano di prendervi parte. Il re insiste, ma la risposta è altrettanto deludente. Chi si lascia incarcerare dalle proprie cose e dai propri affari, miseramente anteposti alla festa; chi giunge alla persecuzione nei confronti dei servi. Esclusi ormai i primi invitati, il re manda ancora i servi, questa volta per chiamare non i primi “prescelti”, ma le persone che meno se lo aspettavano: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».
Destinatari della nuova chiamata sono coloro che prima risultavano esclusi. Sono questi che, a differenza degli altri, possono partecipare alle nozze del Figlio. San Gregorio Magno dice che queste nozze sono il simbolo dell’Incarnazione. Entra quindi nella verità e nella salvezza dell’Incarnazione, solo chi è disposto ad accogliere l’invito da parte di Dio.
Il Signore chiama, e lo fa con insistenza, indicando nell’immagine del banchetto che Egli non vuole una adesione a Lui fatta esclusivamente di pratiche religiose o di pretese di superiorità, ma desidera che entriamo in relazione personale col Figlio suo Gesù. Questa vocazione è per tutti, non esclude nessuno, accoglie tutti, buoni e cattivi, interpella tutti.
A questo banchetto non si accede per merito, ma per dono di grazia. Sempre San Gregorio Magno, dice che l’abito nuziale è la carità. Per entrare nella festa, occorre disporsi all’accoglienza dell’amore. È l’amore che ci fa partecipare alle nozze.