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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Il capitolo 5 del Vangelo di Marco riporta alcune azioni prodigiose di Gesù e la liturgia domenicale ci fa ascoltare la seconda parte del testo con la descrizione di una duplice guarigione, due miracoli “intrecciati”. Questo sovrapporsi di storie è simbolo dell’imprevedibilità dell’esistenza umana: anche per Gesù, come per noi, la vita è fatta di tanti eventi, di incontri, di volti con cui si viene a contatto. Questi due episodi sono collegati da diversi elementi comuni, il primo dei quali è che le destinatarie sono due figure femminili, legate dal numero dodici (gli anni della ragazza e quelli di malattia della donna).
Nei due racconti emerge un dettaglio importante: la guarigione dell’emorroissa e il miracolo successivo sulla figlia di Giairo avvengono con il contatto fisico di Gesù. Secondo la mentalità ebraica del tempo queste erano situazioni dove si diventava impuri se si veniva a contatto con il sangue (non per sporcizia ma perché simbolo della vita) o con un cadavere. È l’emorroissa a toccare Gesù: per lei sfiorare il mantello non è un gesto magico, ha nel cuore la certezza che tutto ciò che Gesù tocca viene santificato. Ma oltre questo c’è la parola di consolazione che viene rivolta a lei, il riconoscimento del motivo che l’ha spinta a quell’atto dopo tanta disperazione: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5, 34). Anche nei confronti della ragazza il contatto diventa una rinascita, una rinnovata vitalità: «prese la mano della bambina e le disse “Talità kum”, che significa: Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5, 41). Prendere la mano è un gesto molto importante nel linguaggio non verbale, affonda le sue radici nell’istinto più primitivo e genuino dell’essere umano, quando si vuole offrire all’altro conforto e sicurezza. Il movimento della mano di Gesù che incontra quella della ragazza è accompagnato da alcune parole che Marco riporta nell’originale aramaico, non per enfatizzare il miracolo con una formula misteriosa che viene poi tradotta per il lettore, quanto per racchiudere in quelle parole (con all’interno il verbo “alzarsi” usato anche per la risurrezione) un messaggio di speranza, di una vita che non è terminata, un invito a ritornare nel mondo.
In entrambe le guarigioni prima c’è il gesto, poi la parola. Gesù prima tocca (o viene toccato) poi parla. Dio ci tocca sempre prima di parlarci, lo fa attraverso mille piccoli segni, attenzioni, sfumature che solo uno sguardo di fede è in grado di cogliere. Gesù con quel contatto ridona vita: nelle due protagoniste c’è qualcosa che si è interrotto, che ha portato alla morte fisica o sociale, c’è un’oscurità dentro la quale sono entrate. Di riflesso potremmo anche noi chiederci: che cosa è morto dentro di me e ha bisogno di risorgere? Quali sono le cose che ho perso? Lasciamoci toccare dal Signore e apriamoci alla sua Parola: un nuovo inizio di vita è sempre possibile.