Dati societari
L’Ortobene
Piazza Vittorio Emanuele 8
08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Viviamo in un tempo caratterizzato da molte sollecitazioni, da continui mutamenti, da poche presunte sicurezze e molte incertezze, in cui è difficile anche solo provare a ricavare una visione unitaria. In mezzo a tutto questo, una peculiarità la si può rilevare facilmente: siamo in un’epoca di impero dell’immagine, e quindi, di tutto ciò che ruota attorno all’apparire, al sembrare, al modo di porsi nei confronti degli altri. Basta dare uno sguardo all’appiattimento imposto dalle mode, dalla pubblicità e in generale dai mass media: tutti si vestono allo stesso modo, tutti devono comportarsi allo stesso modo, tutti devono sembrare uguali. È strano come da una parte si esalti all’infinito la libertà dell’uomo, intesa e proposta in modo fuorviato come “poter fare ciò che voglio”, e dall’altra si operi una massificazione generalizzata, che toccando l’esteriorità, finisce anche per deformare l’interiorità dell’uomo. Il tempo della libertà assoluta è in realtà il tempo della schiavitù assoluta.
Il capitolo 22 di Matteo è tutto incentrato sui sette “guai” che Gesù, mostrando un coraggio sorprendente, rivolge agli scribi e ai farisei, per mettere in luce la loro ipocrisia, la loro doppiezza, la dicotomia totale esistente tra ciò che essi chiedono agli altri e ciò che essi vivono. Gesù parla alla folla e ai discepoli, perché tutti siamo coinvolti da questo insegnamento, tutti corriamo il rischio di vivere questa schizofrenia tra la fede e la vita concreta. Ognuno di noi cade infatti molte volte nella illusione di essere in qualche modo “esemplare” per gli altri. Siamo abilissimi a confezionare giustificazioni al nostro modo di essere e di vivere, soprattutto quando questo è in aperto contrasto col Vangelo. Dall’altra parte, siamo altrettanto abilissimi ad “addomesticare” la Parola, per piegarla ai nostri compromessi.
È inevitabile il riferimento a tutti coloro che sono in qualche modo chiamati ad un compito di responsabilità e di guida, nella famiglia, nella scuola, nella Chiesa, nella società. È un Vangelo che interroga profondamente gli uomini di Chiesa, chiamati a rendere una testimonianza seria, autentica e perciò credibile della Parola che annunciano. Non possiamo nasconderci che, spesso, gli uomini di Chiesa siamo eredi di quell’atteggiamento farisaico, che sacrifica sull’altare del legalismo e del bell’apparire anche la “legge fondamentale” della Chiesa, che è la carità.
Le parole del profeta Malachia, sono drammaticamente chiare. Dio, rivolgendosi a coloro che sono preposti al culto e quindi costituiti mediatori tra Dio e il popolo, li richiama a «dare gloria al suo nome». Come si glorifica il nome di Dio? Glorificare il nome di Dio è conservarsi fedeli all’alleanza, partendo da noi stessi, per poter guidare e sostenere gli altri in questa vitale osservanza. Dare gloria a Dio è anzitutto vivere l’amore, è riconoscere solo in Lui il Signore e Salvatore dell’umanità. Il rischio di “essere d’inciampo” non è così remoto. Quando questa “premura” manca, quando non traspare in noi l’amore stesso di Dio, quando attraverso noi non passa l’amore di Dio, allora siamo di ostacolo.
Le parole di Gesù sono altrettanto forti e chiare, fino alla sentenza: «essi dicono e non fanno». Comprendiamo che non siamo dinanzi solo ad un rimprovero sull’ipocrisia, poiché sul dire e non fare, sta o cade la possibilità stessa dell’evangelizzazione. In un mondo che è schiavo dell’apparenza, vivere l’essenziale ha una sorprendente carica profetica. Se manca la coerenza, come e cosa annunciamo? Se non viviamo noi per primi ciò che chiediamo agli altri, come possiamo pretendere di essere ascoltati?
Un buon esame di coscienza fa bene a tutti: responsabili ecclesiali e civili, genitori, operatori pastorali: spesso cadiamo nella trappola del dire e non fare, cercando la gloria degli uomini e non di Dio. Esiste una sola via per la glorificazione, ed è la Croce. Perciò glorificare Dio è dare la propria vita per i fratelli.