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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani

Molta follia è divino buon senso
per chi sa vedere.
Molto buon senso, completa follia.
Ma è la maggioranza che prevale,
in questo come in tutto il resto.
Acconsenti? Sei sano di mente.
Obietti? Sei pericoloso, e certo
si farà bene a incatenarti subito.
I versi della poesia di Emily Dickinson possono costituire una suggestiva introduzione ad uno dei temi che maggiormente hanno affascinato e attratto in ogni tempo, ispirando riflessioni ed opere d’arte: la follia rappresenta il predominio sulla razionalità e sull’equilibrio, ponendo l’uomo dinnanzi al suo lato oscuro. Il suo significato varia profondamente secondo il contesto storico e culturale, assumendo valori religiosi, morali, filosofici o psicologici. La follia è una condizione di alterazione o perdita della ragione, reale o apparente, che porta l’individuo a comportamenti irrazionali, incoerenti o distaccati dalla realtà. ln senso letterario e simbolico, indica ogni forma di deviazione dalla norma, un uscire dall’ordine, che può essere tanto negativa (squilibrio, errore, eccesso) quanto rivelatrice o liberatoria (intuizione, genialità, libertà dalle convenzioni: Aristotele dice che «non c’è grande genio senza una mescolanza di follia»).
Il termine follia deriva dal latino follis ed il suo significato rimanda a vuoto o mantice: da qui l’accezione figurata di «testa vuota» o «piena d’aria». Nel mondo greco antico, il concetto di follia è espresso dal termine mania: Platone la ricollega alla dimensione degli oracoli e delle profezie, a realtà legate al culto del dio Dioniso, ma anche all’amore e alla ispirazione poetica. La follia è spesso legata propriamente alla sfera sacra: il folle rappresenta la voce del divino da ascoltare e interpretare. Ma la follia si rappresenta talvolta come punizione divina o segno di colpa. Di fatto nella letteratura, la follia è un tema ricorrente e versatile, che attraversa generi ed epoche, assumendo significati diversi a seconda del contesto culturale e del messaggio che l’autore intende veicolare.
Il celebre eroe mitico Ulisse finge la follia per non partire alla guerra di Troia; la sua è una follia simulata, una maschera strategica che rivela intelligenza e astuzia. Aiace nell’omonima tragedia di Sofocle impazzisce per un inganno di Atena e si uccide; la follia è punizione divina per la sua superbia (hybris). L’età moderna e romantica ci offre il concetto di follia come espressione del genio. I famosi personaggi di Shakespeare, Amleto e Re Lear, rappresentano la follia come un qualcosa di ambiguo, al confine tra maschera e verità, un mezzo di riconoscimento della realtà e dell’errare. Nel Novecento e in diversi autori della nostra contemporaneità la follia è intesa come crisi dell’io. Nell’Enrico IV di Luigi Pirandello, il protagonista, cadendo da cavallo, crede di essere diventato l’omonimo imperatore e anche quando recupera la memoria, continua a fingere; la follia diventa rifugio e scelta consapevole contro la falsità del mondo. Nel romanzo La coscienza di Zenodi Italo Svevo la condizione di nevrosi rappresenta la crisi dell’identità, così come nell’opera di Kafka La metamorfosi.
Quello della follia è certamente uno dei più grandi misteri dell’esperienza umana. Non è soltanto uno squilibrio, una rottura dell’ordine naturale: rappresenta qualcosa che mette in discussione l’idea stessa di identità, di realtà, di verità. Chi è folle non è semplicemente “altro“, ma porta con sé un modo diverso, disorientato e spesso disarmante di stare al mondo. La follia può distruggere, ma può anche rivelare ciò che la normalità nasconde: contraddizioni, paure, desideri irrisolti. Una condizione che inquieta perché in fondo tocca tutti. Nessuno è completamente immune dal rischio di perdersi.
ln letteratura la follia è spesso un momento di frattura, ma anche di trasformazione. Quando un personaggio perde il senno, smette di aderire alle regole della logica comune e si apre ad una dimensione più profonda, a volte oscura, altre volte sorprendentemente vera. Ci piace soffermare la nostra attenzione sul poema Orlando furioso dell’autore rinascimentale Ludovico Ariosto. Il protagonista, Orlando, cavaliere cristiano e simbolo di forza e virtù, perde la ragione non in battaglia, ma per amore. Quando scopre che Angelica, la donna che ama, si è unita al giovane Medoro, la sua identità eroica si frantuma: l’eroe più saggio e valoroso cade vittima di una follia totale. Ariosto descrive con vividezza questa trasformazione: Orlando strappa gli alberi, distrugge tutto, vaga nudo per i boschi. È un momento di rottura non solo psicologica, ma anche simbolica: la follia d’amore mostra quanto la passione sia una forza più potente della ragione, capace di sovvertire ogni equilibrio. ln questo senso, la follia di Orlando rappresenta la crisi dell’armonia e della misura. L’uomo rinascimentale, che credeva di poter dominare il mondo attraverso la ragione, scopre di essere invece fragile, soggetto all’irrazionale e al caso. Ariosto, tuttavia, non trasforma questa scoperta in tragedia: la follia, nel Furioso, non è un abisso disperato ma una manifestazione naturale della complessità umana. L’autore la guarda con ironia e distacco, come se volesse dire che ogni uomo, in fondo, è un po’ folle nei propri desideri, nelle proprie illusioni, nei sogni che lo allontanano dalla realtà. L’uomo vive in un continuo oscillare tra ordine e disordine, ragione e follia, realtà e illusione. La follia in Ariosto non è soltanto la perdita della ragione di Orlando, ma una condizione universale. È l’immagine di un mondo instabile, in cui ogni certezza può dissolversi. Tuttavia, Ariosto non ne fa una condanna: la sua è una visione ironica e tollerante, che accetta la follia come parte inevitabile della vita umana. Così, dietro il sorriso del poeta, si nasconde una profonda consapevolezza: che la follia, lungi dall’essere un’eccezione, è la misura stessa della nostra fragile umanità.
È in questo contesto che l’episodio del viaggio sulla Luna assume un significato speciale. L’autore immagina un luogo in cui tutto ciò che si è perso sulla Terra si conserva intatto, tra cui, appunto, il senno degli uomini. Non è un’idea comica o fantastica: è una visione lucida e amara. La ragione, ci dice, non si distrugge: si allontana. Si può perdere, ma forse anche ritrovare.
La follia di Orlando, che arriva dopo la delusione d’amore, non è una semplice pazzia sentimentale. È il crollo dell’eroe, la caduta dell’identità. L’uomo che era emblema di forza diventa improvvisamente vuoto, spogliato di sé. Eppure, proprio da quella rottura nasce la possibilità di un ritorno. Astolfo, salendo fino alla Luna, compie un gesto che va oltre la magia: riporta sulla Terra ciò che l’uomo ha smarito, ridando senso a una realtà che sembrava definitivamente perduta.
In fondo, la forza dell’allegoria ariostesca sta tutta qui: mostrare che la follia non è solo un abisso, ma anche uno specchio.
Un passaggio. Un vuoto da attraversare per poter tornare diversi e più consapevoli. Ariosto ci insegna che anche gli uomini più saggi, come conseguenza a una forte delusione, possono perdere il proprio senno, altri a causa di distrazioni possono perderlo parzialmente, e noi tutti ne abbiamo perso una gran quantità nella nostra vita senza neanche rendercene conto. Ariosto trasforma la luna in un deposito nel quale l’uomo, con un po’ di fortuna, può andare a recuperare tutto quel che è andato perduto. La pazzia ci allontana da noi stessi ed è per questo che è un bellissimo sogno quello di poter recuperare il nostro senno e con esso il tempo perduto e le promesse volate via non appena pronunciate.
A cura degli alunni della classe IV C del Liceo Classico “G. Asproni” di Nuoro: Giulia Baltolu, Margherita Baragliu, Claudia Beccu, Rosalia Bruno, Eleonora Cottu, Giada Deiana, Francesco Paffi, Daniele Pisanu, Mariantonia Podda.
Coordinamento didattico: Venturella Frogheri