Felicità e imperturbabilità
di III C Liceo Classico Nuoro
6' di lettura
8 Maggio 2022

Passiamo l’intera nostra esistenza a invidiare le divinità mitologiche della cultura greca: vorremmo essere come loro, perfetti, senza bisogno di nulla, senza preoccupazioni, vorremmo raggiungere quella condizione di assoluta forza psico-fisica per cui non si teme niente. («Omnis enim per se divum natura necesset immortali aevo summa cum pace fruatur semota ab nostris rebus seinctaque longe: ogni natura divina, infatti, deve godere di per sé in imperturbabile pace una vita mortale appartata delle nostre vicende del tutto remota », dal De rerum natura di Lucrezio). Vorremmo essere come gli scogli in mezzo al mare, imperturbabili, tali che nonostante le maree, le onde, e le tempeste rimangono immobili, e non si scalfiscono. Non soffrire, non gioire, non fremere di emozione, non tremare di paura, non agitarsi di irrequietezza. Guardare gli altri tubarsi, affannarsi, correre, e compiacersi di restare sereni, non toccati dall’ambizione o da desideri. È questa la condizione di felice atarassia ambita da Lucrezio (98-55 a. C.) e, caparbiamente, disperatamente, proposta al suo lettore. Lo stesso concetto è alla base del pensiero di Giacomo Leopardi, che manifesta molti punti di contatto con il materialismo epicureo e con le pagine di Lucrezio. Celeberrimo è il verso che riassume la nozione di atarassia, tratto da La quiete dopo la tempesta: «Piacer figlio d’affanno », al v. 32, concentra il senso complessivo dell’idillio, che fa leva proprio sulla condizione dell’uomo eternamente tormentato che può godere dell’unica gioia data dall’«uscir di pena » (v. 45), perché, per il poeta recanatese, la gioia è vana e «frutto del passato timore» (vv. 33-34), il dolore nasce naturalmente e, se dalla sua cessazione deriva un qualche piacere, esso « è gran guadagno » (vv. 48-50), tutto ciò che la Natura ha concesso al genere umano. Nel De rerum natura di Lucrezio si avverte ad ogni pagina un’irrimediabile pena e un insanabile contrasto tra razionalità e sensibilità, nella scoperta che è impossibile questo tipo di felicità, perché la vita, nonostante le puntigliose e scientifiche spiegazioni del credo epicureo, resta un mistero e si rivela tanto amara proprio perché oscura. Ma è da questa contraddizione che nasce la straordinaria poesia di Lucrezio. Il concetto di felicità, «la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione dalle passioni» la ragione stessa per cui l’uomo vive, per Lucrezio è inteso come “atarassia”, (dal greco antico, ἀταραξία, “assenza di agitazione”, “tranquillità”) massima espressione di quiete e ἀp.ονί , assenza di dolore da parte del filosofo che, in quanto sapiente e pieno conoscitore della felicità, si trova nella condizione di perfetta armonia e serenità dell’animo resa possibile dall’eliminazione delle paure irrazionali e dalle passioni perturbatrici. «Quel che è sopra di noi, nulla ha a che fare con noi» (Quod supra nos nihil ad nos), dice Epicuro: non è solo un invito a non temere la morte e a fare dell’aponia la nostra filosofia di vita, ma è soprattutto un invito a cambiare la nostra stessa percezione della vita. Essere degli “scogli in mezzo al mare” significa dare il giusto peso a ogni cosa, significa allontanare ogni male o distrazione dalla nostra serenità quotidiana, significa anche credere di più in noi stessi, sentirci grandi, più forti, cosicché le preoccupazioni non possano colpirci. Le divinità sono esseri supremi venerati dagli uomini, noi dovremmo cercare di sentirci un po’ come loro, perfetti per ciò che siamo e senza bisogno di nessuno a cui aggrapparci, dovremmo essere certi di non crollare mai, ritenendo che nessuno possa sconfiggerci. Solo così potremmo vivere una vita felice e soprattutto serena. È un percorso indubbiamente arduo e tortuoso secondo il quale l’uomo si libera da ogni paura allargando le proprie prospettive potendo dunque godere dei piaceri e della felicità acquisita. Serena è la vita di chi la vive con superficialità? Nah, serena è la vita di chi la vive bene. In tempi di incertezza, cambiamento e sofferenza, cercare di trovare un nuovo e più efficace modo di affrontare la vita può talvolta sembrare l’unica scelta plausibile. Quello legato alla atarassia è un concetto forse lontano dai giorni nostri, in cui il distacco dalla realtà è una tempra caratteriale, una sorta di scudo che si tende a creare, più che una pratica filosofica. Difatti da un lato per le difficoltà riscontrate di questi tempi e dall’altro per lo sviluppo dei social network si tende sempre più a chiudersi in se stessi poiché ci si scontra con una realtà all’apparenza povera di stimoli e difficile da affrontare. Eppure la lettura dei classici può suggerirci diverse sollecitazioni nella nostra personale ricerca della felicità: «la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione delle passioni» ci fa riflettere su ciò che sia davvero essenziale per l’uomo: non, per esempio, il lusso o la ricchezza, i quali sono da evitare perché impediscono l’atarassia, chiave di saggezza: il saggio è colui che riesce a essere padrone di se stesso, in grado di dominare la realtà esercitando la razionalità al fine del raggiungimento di uno stato di serenità imperturbabile entro un percorso di autentica costruzione del sé, nella ricerca di un equilibrio che oggi è così disperatamente bramato dalla maggior parte delle persone in cerca della felicità.


A cura degli alunni della classe III C del Liceo Classico“G. Asproni” di Nuoro: Luca Acciaro, Agnese Balloi, Magda Bziuoid, Angela Cerullo, Antonella Contu, Silvia Denti, Ferruccio Ferrandu, Matteo Floris, Aurora Medde, Gianna Patteri, Rachele Piras, Ilenia Podda, Giulia Siotto Coordinamento didattico: Venturella Frogheri

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