Il fascino delle virtù perdite, la pudicizia
Modestia e decoro non hanno importanza solo a livello individuale ma riguardano la comunità
di IV B Liceo Classico Nuoro
Venere capitolina, copia romana di un originale greco del II secolo a.C, Musei Capitolini, Roma
4' di lettura
20 Luglio 2024

Proponiamo di seguito alla attenzione dei nostri lettori una serie di riflessioni su una virtù oggi spesso dimenticata ma che nel mondo antico greco e latino aveva una particolare rilevanza: parliamo della pudicizia. Un termine così lontano, ma anche così vicino a noi visto che sopravvive in termini italiani come pudore, pudico, pudibondo (quest’ultimo in realtà usato in un linguaggio più aulico e raffinato). La parola richiama nel suo significato più profondo a quel senso di discrezione modesta nel comportamento in riferimento all’esibizione del proprio corpo. Dal punto di vista etimologico il termine deriva dal latino pudīcus, collegato al verbo pudere che indica il «sentir vergogna». Nella cultura greca antica, il concetto di pudicizia si trova nella parola αἰδώς che combinava i significati di rispetto, modestia e senso del decoro. Di conseguenza si tratta di una virtù che potremmo definire cruciale in quanto assumeva il carattere di vera e propria regolatrice di comportamenti al fine di mantenere l’equilibrio tra individuo e comunità. È allora molto interessante sotto questo punto di vista mettere in evidenza il fatto che il concetto non ha importanza soltanto a livello individuale ma riguarda la comunità, il rapporto con gli altri: non quindi come nel nostro tempo un’ottica solo legata al singolo ma che interessa il rapporto dell’uomo con la società in cui vive, la relazione con gli altri. Secondo la mentalità degli antichi, sia uomini che donne dovevano mostrare moderazione e rispetto attraverso il controllo dei propri desideri. La pudicizia pertanto non era solo una questione personale, ma anche una manifestazione di rispetto per gli altri e per le norme sociali, fondamentale per preservare l’ordine e l’armonia comunitaria. 

A Roma nel Foro Boario era posta una icona che rappresentava la cosiddetta Pudicitia Patricia, onorata dalle donne patrizie, mentre sul colle Quirinale una analoga icona era dedicata alla Pudicitia Plebeia. Lo storico di età augustea Tito Livio racconta che una giovane ragazza di stirpe patrizia, Virginia, sposò un uomo plebeo, Lucio Volumnio, per cui non potè più partecipare al culto nel tempio insieme alle donne della sua classe sociale di origine: ne fece quindi edificare a sue spese un altro dedicato appunto alla Pudicitia Plebeia. Il racconto delinea le nette differenze sociali che separano individui appartenenti a classi diverse, ma sottolinea anche il gesto audace e  coraggioso di una donna, in grado di rompere con la tradizione e di inaugurare un nuovo culto in un nuovo tempio. Questo mette in evidenza la grande importanza che si attribuiva a tale virtù. 

Il concetto che essa rappresenta può essere espresso anche attraverso l’arte, importante ed efficace veicolo per la trasmissione di insegnamenti. Ed ecco allora che una possibile associazione iconografica inquadra la pudicizia come ben rappresentata nella statua della cosiddetta Venere Pudica. Si tratta di una scultura che raffigura la dea Venere (che nella mitologia greca viene denominata come Afrodite) mentre tenta di coprire il suo corpo nudo con le mani in un gesto di modestia. La dea è rappresentata in piedi, con una mano che copre il petto e l’altra che copre il pube. L’espressione del volto è particolarmente serena e nello stesso tempo modesta, trasmette quindi un senso di riserbo e dignità. Le linee del corpo sono armoniose e proporzionate: si seguono in tal modo i canoni della bellezza classica. La statua è solitamente realizzata in marmo o bronzo, materiali tipici della scultura greca e latina. Questo tipo di rappresentazione esprime l’ideale di pudicizia attraverso l’equilibrio tra bellezza e modestia, incarnando la virtù della riservatezza tipica della cultura classica. 

È chiaro l’insegnamento che può derivare da questa virtù anche in un tempo come il nostro, in cui spesso comportamenti e atteggiamenti sono decisamente differenti dalla pratica della riservatezza e del senso della misura. Ancora una volta i classici possono divenire autentici maestri di vita.


A cura degli alunni della classe IV B del Liceo Classico “G. Asproni” di Nuoro

Nicola Alpigiano, Francesca Capurso, Fabiola Carta, Stefano Deriu, Marta Dessena, Rosella Fronteddu, Giuseppe Obinu, Emanuele Pinna, Marisa Piras, Pasquina Salis, Komil Teresa Singh, Paola Vilia, Angelica Zanda 

Coordinamento didattico: Venturella Frogheri

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