Il disamore della Deledda per Amico Cimino
Il Fortunio descritto con disprezzo in Cosima, “piccolo, triste e meschino poeta”
di Natalino Piras
Grazia Deledda secondo una stampa del 1890
5' di lettura
12 Settembre 2021

È come una nota a margine nella storia di luce di Grazia Deledda (1871-1936), la vicenda di un amore che mai c’è stato tra la scrittrice premio Nobel e il poeta bittese Amico Cimino (1867-1934). Tra gli altri, con Tanielle Cossellu, storico leader del tenore “Remunnu ‘e Locu”, parliamo dell’intrigo in un libro su Cimino pubblicato nel 2017. Il ritratto che Grazia Deledda fa di Cimino nell’autobiografia pubblicata postuma, Cosima (1936), è impietoso. Il poeta conosciuto come uno dei più grandi in lingua sarda nel cantare l’amore, accompagnato dae Musas de Parnasu e d’Elicona, in “ divinas armonias de liutos, de lira, violinos e mandolas”,

della struggenza di “ Tue chi ses lontana forsis gai / chi t’olvides de me pro calchi istante” è abbassato a uno spregevole Fortunio, nome di finzione. Viene descritto come un personaggio viscido, sciancato (in realtà Cimino era affetto da forte miopia), che vive di espedienti. «Era un ben piccolo e triste e meschino poeta, in tutto. Era zoppo fin dalla nascita; non poteva studiare per mancanza di mezzi, non riusciva a trovare un posto decoroso per mancanza di studio… era figlio illegittimo della serva del cancelliere… e, si diceva, del cancelliere stesso, che non lo riconosceva ma se lo tirava appresso, lo manteneva, gli faceva fare il copista, e gli permetteva di scrivere versi».

Forte deve essere stata la causa di tanto disprezzo mescolato a un odio implacabile.

Nel libro Attitatores e Attitos. Pianto rituale in Sardegna (2012), Lucia Preiata, anche lei bittese, dedica un intero capitolo a Cimino e sulla vicenda d’amore con la scrittrice. Sostiene: «Nei primi anni Novanta dell’Ottocento, Amico si invaghì di Grazia Deledda, da lei assecondato in un primo momento ma in seguito respinto in modo sdegnoso. Sembra che lui l’abbia importunata esibendo una sua foto trafugata, vantandosi con un biglietto anonimo dove affermava che Grazia era innamorata di lui. La sua corte era tanto insistente da seccare Grazia, che sembra abbia fatto intervenire i suoi fratelli per calmarlo e si fosse ripromessa di vendicarsi».

Una ricostruzione dei fatti c’è nel volume Grazia Deledda Premio Nobel per la Letteratura 1926 (Fratelli Fabbri 1966) dove Francesco Di Pilla, il maggiore studioso della scrittrice nuorese, passa al vaglio, una per una, le Lettere inedite di Grazia ai suoi amori giovanili. Cimino è detto mascalzone e con ironia eroe. Cimino costruisce, secondo la Deledda testimonianze false. Fa avere a Grazia un biglietto, spedito da Nuoro, in cui c’è una persona, appunto un anonimo, che parla dell’innamoramento di Grazia per lui. Ma viene smascherato. «Questo biglietto io l’ho riconosciuto, è dell’eroe non c’è dubbio» scrive Grazia ad Andrea Pirodda, «mandò un biglietto anonimo ove gli si diceva che io ero pazzamente innamorata di lui, tanto da ammaliarmene!». Nella lettera a Pirodda, datata 19 aprile 1893, così scrive Grazia: «Non credere a ciò che dicono. I nuoresi hanno il male dell’invidia e non potendo più dicono, di una famiglia indipendente, che è rovinata, che ha debiti e simili pestilenze. Ora, per esempio, si è sparsa la voce che era all’asta una nostra terra per una cambiale protestata. Si tratta invece di una cambiale firmata da Andrea, quindi a lui protestata, e che non ha nulla da vedere con noi. La nostra famiglia è indipendente da tutti e quasi tutti, invece, dipendono da noi. Mi ha fatto ridere la frase di quel mascalzone di Cimino. Manco male che non disse di avermi abbandonata lui! Intanto le spese per le nozze di sua sorella furono pagate da mio fratello e la loro cambiale figura nel mazzo di cambiali disperate che noi possediamo. Ma sai! Io odio e disprezzo quell’eroe, come tu lo chiami, e mi son fissa in testa che egli deve pagare tutto. Vedrai! Gli devo dare un’altra lezione, e se la prima volta rimase due o tre giorni a letto, l’ultima volta ci resterà un mese, o almeno gli passerà l’idea di raccontare romanzi sul conto mio e di mostrare il ritratto rubato dall’albo di sua sorella, e di numerare le migliaia di lire di chi non gli importa».

Letteratura alla macchia

Amico Cimino condusse un’esistenza di scapigliato e dissipato, ebbe molti guai con la Giustizia. Come per altri poeti maledetti nessuna rispondenza tra vita e opere, capaci le sue composizioni, oggi più che mai, di fare presa in chi le legge, le ascolta, ne tramanda la musicalità e la cantabilità.
Ben altre erano le ambizioni della giovane Deledda, il sogno di essere grande scrittrice, avveratosi per la sua ostinata volontà di dover superare molti ostacoli. Cimino resta letteratura alla macchia.
È da questa sproporzione che bisogna ripartire per interpretare la storia di un disamore che di tanti altri amori deleddiani, non tutti nel segno della fortuna, racconta.

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