Il figliol prodigo in limba vitzikesa
La parabola evangelica tra filologia e poesia
di Natalino Piras
Bartolomé Esteban Murillo, Il ritorno del figliol prodigo (1670 ca)
5' di lettura
17 Febbraio 2024

«Proite custu fizzu meu fit mortu et est resuscitatu»: è insieme conclusione e punto nodale, detto in bittese dell’Ottocento, della parabola del figliol prodigo, tramandata dal Vangelo di Luca (15, 11-32). Così il padre si rivolge al figlio maggiore che non vuole partecipare alla festa per il ritorno a casa del fratello, il figliol prodigo. Prima ancora il padre aveva comandato ai servi, «sos teracos suos»: «prestu vaüte sa prima istolaet vestitelu , et date in manu sua s’anedduet sa caltamenta in pedes suosEt baütu unu vitellu saghinatu occhiditeluet mandichemus et facamus cumbitu».  

Esistono tre versioni in bittese della Parabola, tre in logudorese esteso, tre in cagliaritano, due in gallurese, una in bosano. In tutto fanno 12 versioni in sardo su oltre un centinaio di versioni nei diversi dialetti italiani. È il risultato di una indagine, autentica ricerca sul campo, fatta da Giovanni Puggioni. Due i documenti significativi ritrovati: un pezzo del linguista e pedagogo Giuseppe Mercurio (Orosei 1919 – 1994), La parabola del figliol prodigo in dialetto bittese dell’800, pubblicato su L’Ortobene del 14 agosto 1977, e una miscellanea, numero 7278, della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Ne è autore Carlo Salvioni (Bellinzona 3 marzo 1858- Milano 20 ottobre1920) linguista e glottologo svizzero, rivalutato in tempi recenti dal grande filologo Gianfranco Contini (Domodossola 4 gennaio 1912 -1 febbraio 1990). Recita il frontespizio della miscellanea, stampata nel 1913 a Cagliari dalla Società Tipografica Sarda: Versioni sarde, corse e caprajese della Parabola del Figliuol Prodigo tratte dalle Carte Biondelli, presumibilmente Bernardino Biondelli (Zevio, Verona, 14 marzo 1804 – Milano 11 luglio 1886), linguista numismatico e archeologo. Nella prima pagina della miscellanea, una nota avverte che è stato il canonico Giovanni Spano (Ploaghe 3 marzo1803 – Cagliari 3 aprile 1878), il più grande intellettuale sardo dall’Ottocento, a aver fornito le diverse versioni della Parabola a Bernardino Biondelli. A seguire la versione in logudorese, quella bosana e le tre bittesi. Notevole, in quella logudorese, la resa in poesia della gioia del padre per il ritorno del figlio: «Fit perdidu pro me eternamente/Non creia pius de l’incontrare/Mannighemus allegros e cuntentos/Foras de coidau e pensamentos».

Diverse le note per le versioni in bittese, due anonime, la terza a firma di un «Avv. Argnoni». L’analisi lessicale è capace di rendere il contesto ambientale della Parabola, specie quando il figliol prodigo, dopo aver sperperato in bagordi e prostitute la parte di patrimonio toccatagli si riduce a fare il guardiano di porci. Affamato, non può né mangiare né saziarsi delle ghiande date ai porci. All’ultimo grado dell’essere servo. Per dire servo, nelle diverse versioni bittesi della Parabola si usano le parole servitoreservitores e, più pesanti, teracuteracos. Dice una nota: «E la t viene da loro [dai bittesi] pronunciata con la lingua fra i denti, come la Tita greco sic!». Sempre in nota, si usa a termine di paragone tatare, saziare: «tatare si scrive in greco per pronunciarlo in bittese; così come teraccos, col θ greco». Appunto tzeracos

Nel pezzo di Giuseppe Mercurio non si fa menzione della raccolta Biondelli. È presumibile però che Mercurio ne fosse a conoscenza. Lo rivelano le note al pezzo, le stesse, in particolare la prima, riguardante proprio la parola teracos: «si pronuncia come se fosse scritto colla teta greca, cioè con la lingua mollemente compressa tra i denti».

Dice Giuseppe Mercurio che la raccolta dei manoscritti conservati nella Biblioteca Ambrosiana, da cui tutto origina, erano appartenuti al filologo milanese Francesco Cherubini (1789-1851). In questo fondo, la busta D contiene le ricerche filologiche sui dialetti della Sardegna. Qui stanno le dodici versioni in sardo della Parabola. «Le ricerche sui dialetti della Sardegna erano state già segnalate da monsignor Agostino Saba nella rivista che veniva pubblicata intorno al 1930 dal Liceo Scientifico di Iglesias, preside Remo Branca, con l’articolo “Un fondo dialettologico sardo nella biblioteca Ambrosiana di Milano”». Ancora Giuseppe Mercurio sulle versioni in bittese: «due sono anonime mentre la terza è firmata da un “Rev.do Asproni”. Giorgio Asproni [Bitti 5 giugno1808-Roma 30 aprile1876]? Che sia lo stesso, non correttamente trascritto, «Avv. Argnoni» delle Carte Biondelli? Può darsi. Mercurio questo non lo dice. Spiega invece che «una serie di circostanze induce a ritenere che tutte le versioni siano da datare tra il 1840 e il 1845; ma può anche non darsi. In merito, don Giuseppe Calvisi [Zizzu Peppe de Genè] mi segnala gentilmente che in quel tempo, a Bitti, i “Rev.Asproni” erano almeno tre come si ricava dalla seguente sestina: “Bitti faghet pompa e gala/De sos tres frades Bulloni. /Tres sacerdotes d’Asproni./ Tres Dore e tres de Pala;/ Tres Delogu a s’atter’ala./Ite  bella simmetria

La poesia serve per comprendere quanto a volte viene complicato dalla filologia. A prevalere è la lingua sul dialetto, la nostra meravigliosa limba sarda, tutte le sue varianti: che sia Giorgio Asproni, padre del pensiero autonomistico, oppure altri, a rendersi interpreti della mirabile parabola del figliol prodigo, sempre contemporanea. 

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