Dati societari
L’Ortobene
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08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Ci sono segni importanti che mettono insieme, in una cronologia distante oltre tre secoli, la vita e la morte di padre Giovanni Antonio Solinas (15 febbraio 1643 – 27 ottobre 1683), il 2 luglio prossimo sarà proclamato beato, e di padre Salvatore Carzedda (20 dicembre 1943 – 20 maggio 1992), Battore in limba sarda. Contano molto le loro appartenenze, uno di Oliena l’altro di Bitti, entrambi barbaricini, entrambi missionari: uno gesuita, l’ordine fondato nel Cinquecento da Ignazio di Loyola e Francesco Saverio cui appartiene Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco, l’altro del Pime, Pontificio istituto missioni estere, fondato verso la metà dell’Ottocento da Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia poi patriarca di Venezia.
Lo spirito della missione tutte queste distanze annulla, le rende unico intento. Dice un passaggio del Vangelo, quando Gesù scaccia i mercanti del tempio, fatto diventare tema dominante nella formazione dei missionari: «Zelus domus tuae comedit me», lo zelo della tua casa mi pervade e mi consuma. La casa è quella del Signore, lo zelo è per le terre lontane, l’idea che si fa prassi di evangelizzazione, portare il dono della fede, condividere specie con gli ultimi e i diseredati la loro condizione umana, con loro organizzare speranza.
È quanto rende significativamente indelebile la presenza nella memoria del paese, inteso in vasta, vastissima accezione, di padre Solinas e di Battore Carzedda. Il martirio è la testimonianza suprema della loro fede, la consapevolezza della spendita di sé per l’altro, il coraggio di andare avanti nonostante avvertenze, minacce, segnali di guerra. Martyres, nell’etimologia dal greco che passa per il latino e suona anche in lingua sarda vuole dire appunto testimoni.
Padre Solinas e Battore sono martiri cristiani per quanto la testimonianza della missione comporta sia al centro che nelle periferie del mondo.
La formazione dei due martyres ha inizio nel proprio paese, alla scuola dei gesuiti presenti a Oliena dal 1665, quella di Solinas; e alla scuola della parrocchia e all’educazione religiosa familiare quella di Battore, izzu de Tonnedda ’e Broccale e de Antoneddu ’e Mesumunnu. Alla Barbagia come centro, al paese come cuore del mondo, entrambi ritornano. Battore, vestito coi paramenti sacerdotali, il rosso del martirio, deposto su una bara col coperchio di vetro trasparente, tornò in paese un mese dopo la morte. Di immensa struggenza, s’attitu che intonò la madre. Battore tornava da Zamboanga, parte occidentale dell’isola di Mindanao, nelle Filippine. Il 20 maggio del 1992 (30 anni fa) era stato ucciso in un’imboscata tesa dagli integralisti islamici. Così si elevò, alto sulle ali, il canto di Antonia Cossellu: «Dae sa terra antzena/M’ar ghiratu, Battore,/De gloria una parma./Dae sa terra antzena/Dolore e pena manna/M’ar ghiratu Battore/Pena manna e dolore/De gloria una parma/Dolore e pena manna». Tzia Tonnedda aveva cantato il figlio anche quando fu ordinato sacerdote nel 1971, a sa sacra cui il 16 luglio di quell’anno partecipò l’intero paese. Così come una folla immensa accompagnò Battore al camposanto, cuore unico con quell’altra moltitudine che lo aveva salutato al momento dell’imbarco delle spoglie mortali dentro un aereo di linea.
Salvatore Carzedda, era uomo del dialogo, persona di forte carisma, fondatore insieme al confratello padre Sebastiano D’Ambra del movimento “Silsilah”, parola araba che significa catena per il dialogo tra cristiani e musulmani. Come un pianto di speranza risuona la chiusura de s’attitu della madre: «E a sas Filippinas/precabi pake e calma/ e sar Filippinas/annabi che a prima/precabi pake e calma/che a prima bi anna».
Il corpo di padre Giovanni Antonio Solinas è rimasto là a Salta, nel locale collegio della Compagnia di Gesù, nel Chaco argentino, ai piedi delle Ande, Valle del Zenta dipartimento di Oràn, lo stesso luogo di missione tre secoli dopo di un altro bittese pervaso dallo zelo della domus tuae, don Diego Calvisi (1920-2018). Padre Solinas, insieme al confratello padre Pedro Ortiz de Zárate, anche lui beato il 2 luglio prossimo, e altri 18 laici, furono assaliti e trucidati, letteralmente fatti a pezzi, da indios Tobas e Mocovíes aizzati da stregoni contrari alle reducciones, le prime comunità di indios fondate dai gesuiti in America Latina, proprio là dove scorre il fiume Paraguay.
Correva il 27 ottobre 1683 e un altro frate olianese, padre Salvatore, silenziario nel convento dei cappuccini di Bitti, proprio la regola del silenzio ruppe, in refettorio, all’ora del pranzo comune: «Mando le congratulazioni al mio compaesano padre Giovanni Antonio Solinas, della Compagnia di Gesù, che in questo momento soffre il più crudele martirio per mano dei selvaggi dell’America meridionale».
Il martirio era la massima aspirazione per la gente di missione e padre Salvatore, compaesano di padre Solinas, quell’orrore e quella gloria vide, a migliaia di chilometri di distanza, mentre tutto si compiva. Il martirio di padre Solinas e di Battore, l’offerta di sé come salvezza e redenzione degli altri, per il loro tempo e a futura memoria, dice che ancora esiste possibilità di resurrezione in questo nostro devastato tempo di peste e di guerra, di mai smesso inverno.