Tziu Maloccu e il suo catalogo di maledizioni
I magnifici sette. Personaggi immaginari presi dalla realtà/6
di Natalino Piras
Nuoro, piazza Cavallotti ora piazza San Giovanni
5' di lettura
14 Gennaio 2024

La vicenda di tziu Maloccu, stando alle narrazioni che lo riguardano e che variano da paese a paese, si colloca lungo il Novecento, dal primo decennio sin sulla soglia degli anni Sessanta. Dice Nannino Offeddu nel secondo volume di Immagini di Nuoro paese. «Ricordate la voce stridula e quasi petulante di “Maloccu” che giungendo a piedi da Galtellì, 30 chilometri da Nuoro, con una grossa gerla sulle spalle offriva al ridotto numero degli ortolani locali, o direttamente agli stessi cittadini “sa prantaria” tanto ricercata e “su martuzzu” raccolto nei torrenti della Baronia?». Così il reale. Il mito tutto questo trasforma e amplifica, puntualizzando di Maloccu la lingua tagliente, la forza delle sue maledizioni. 

Lacero, malvestito, a conca nuda, c’è chi dice scalzo, sos pedes mannos che taula ‘e icu murisca, di dura scorza, una volta tziu Maloccu era arrivato al bivio di Marreri da dove si dipartono diverse risalite verso Nuoro, Lollove, Orune. Qui avrebbe fatto tappa. Insieme a s’ortalissa, portava chincaglieria varia dentro la gerla. Aveva già fatto diversa strada. Era stanco ma proseguiva eroicamente il cammino, tutto in salita. Nei pressi di Nunnale fu rapinato di tutto quello che aveva e lui riconobbe gli autori del misfatto. Da lì la risposta che Maloccu dette un’altra volta a un altro passeggero che lo incontrò, quasi nello stesso punto della rapina: «A uve setzis annanne tziù Malò?» «A …neune chi bi restet!». Cosa che non gli impediva di ritornare a uno dei luoghi dove faceva bancarella.  

Tziu Maloccu, se lo avesse conosciuto Jacques Le Goff, storico della scuola delle Annales, lo avrebbe collocato nel tempo del mercante che mette in conto fortune e rovesci. Il mercante conosce tutte le astuzie e gli inganni necessari per vendere la merce. Nuoro, dove adesso c’è piazza San Giovanni che fu piazza Cavallotti, tutta questa gente accoglieva e conteneva: venditori e venditrici d’olio d’oliva, provenienti dalla lontana Silki o dalla vicina Oliena, asinai, cavallanti, camminatori a piedi, carrettoneris, scarpai, venditori d’indumenti, di sanguisughe per i salassi, sportai, ramanaios, conciabrocche, tzillonarjos, lotraios. A Piazza Cavallotti si faceva memoria de su Milesu, che, senza mani, ventuleri per antonomasia, contajat s’aranzu chin su pede.      

Era l’ambiente ideale per tziu Maloccu, personaggio ubiquo. C’era chi sosteneva che il giorno prima, sotto il solleone, pestava fango per ricavarne mattoni, non lontano dal fiume di cui parla Grazia Deledda in Canne al vento. Somigliava in maniera impressionante a Efix, il servo delle dame Pintor. Ora invece, tziu Maloccu è al suo posto, a piazza San Giovanni. Vendeva galli, puddichinos, spacciandoli per galline ovaiole e concluso l’affare così si rivolgeva all’acquirente: «Buscatebos su restu de su tenore ca sa oche da la tenites».

Da Piazza San Giovanni si dipartivano molte altre strade una volta finito il giorno di mercato. Tziu Maloccu tutte le conosceva. Dicono che all’occasione diventasse anche lui, proprio come Efix, petitore.  A differenza di Efix però, mendicante per espiazione, persona sofferente, parco con le parole, tziu Maloccu non perde mai la capacità di vrastinare e irroccare.

C’è un intero catalogo di maledizioni se non inventate perlomeno da lui ispirate. Tra le più famose quelle rivolte contro le forze dell’ordine che allora, nella Sardegna dell’interno e della costa, spesso assediata più che protetta dae sa Giustissa, erano considerate presenza ostile. Nessuna possibilità di conciliazione, nessuna alleanza con quell’esercito di cavallette. Come sentimento popolare, tziu Maloccu non faceva eccezione. Si dice che un giorno, nel suo itinerare per le strade di Baronia e Barbagia fu fermato a poche ore di distanza l’una dall’altra prima dai carabinieri e poi dalla polizia. Le consequenziali maledizioni sono in rima, in perfetto stile Maloccu: «…sos carabineris, unu chin eris chi bi ne campet… sa polizia, unu ebbia chi bi ne restet e a lu ‘idere in fotografia». La modernità dà forma all’antico. 

Forse, di tutto questo che abbiamo raccontato, il vero, quanto realmente accaduto, è minima parte rispetto all’invenzione. Però tutto è possibile, segno narrativo di un tempo, di un contesto, la nostra storia in fondo, dove l’aspetto prosaico brucia come sale sulla ferita. 

Maloccu sta nel segno dell’umano, di una sopportabile umanità. Le sue maledizioni non hanno bisogno di gesti apotropaici né di esorcismi. Provocano più riso che terrore. E inducono a pensare. Tziu Maloccu ha attraversato, da protagonista e da testimone un secolo altrimenti terribile, di desolazione, fame, malaria, guerre per bande, tutte le emigrazioni in cerca, quasi sempre di pane mentzus de tricu. Il personaggio si presenta a suo modo, senza mai far perdere alle parole la forza di contrasto ma pure di memoria storica.

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