Ibrahima Lo mostra ai ragazzi una delle sue cicatrici
Camminare tra le spine e sopravvivere
di Franco Colomo

23 Febbraio 2025

5' di lettura

Nuoro - Oggi è un giovane che può raccontare la sua storia, otto anni fa era un migrante partito dal Senegal e arrivato in Italia dopo sei mesi di viaggio. «Non sono nessuno, solo un ragazzo – ha detto Ibrahima Lo presentandosi agli studenti del Liceo Scientifico che ha incontrato nell’aula magna dell’Istituto sabato 15 febbraio – ma ho il dovere di raccontare quello che ho vissuto perché tantissimi lo stanno vivendo e non possiamo lasciare che accada ancora. Devo dare voce a chi non ne ha, se non parlo nessuno lo farà». E le ragazze e i ragazzi ascoltano con attenzione il suo racconto, sensibili all’ingiustizia, qualcuno si commuove perché è impossibile restare indifferenti.

La storia inizia in Senegal, è quella di un quindicenne che in poco tempo perde la madre per le conseguenze di un incidente stradale e il padre per le conseguenze del diabete. Orfano, si trova «solo, debole e povero». Ringrazia i suoi compagni, a scuola gli hanno insegnato che «bisogna riconoscere chi è povero e a riconoscere il dolore degli altri». Gli amici rinunciano a una parte del loro pranzo per dividerlo con lui ma poi prevale la vergogna e Ibrahima decide di non andare più a scuola. Ha un sogno che aveva confidato a suo padre, quello di fare il giornalista, il genitore aveva replicato che per riuscirci avrebbe dovuto «camminare sopra le spine». Compiuti 16 anni, grazie a un amico si presenta la possibilità di partire per l’Europa. Nel suo viaggio passa dal Senegal al Mali, poi in Niger attraversa il deserto fino a raggiungere la Libia. Qui il racconto si fa più crudo e Ibrahima mostra ai ragazzi una delle sue cicatrici. Sopravvissuto al lager finalmente arriva la possibilità di salire su un gommone insieme ad altre 120 persone. Ha paura ma i compagni gli dicono: «Se muori in mare sei felice, se arrivi in Europa sei fortunato, se torni in Libia sei morto». A una sua zia che chiedeva di descriverle ciò che gli è accaduto Ibrahima ha detto solo: «Ero schiavo, mi hanno comprato, mi hanno venduto, mi hanno lasciato cicatrici. Come è accaduto ai miei bisnonni». È la storia di un Continente e del suo popolo, quella di uno sfruttamento che non è mai finito. Ibrahima chiede ai ragazzi quanti posseggano un cellulare, tutti alzano la mano: «Sapete – dice loro – che il coltan per produrli viene dal Congo? In quelle miniere lavorano e vengono sfruttati bambini. Il governo corrotto del Senegal ha stretto accordi con l’Europa per permettere alle navi da pesca europee di entrare nelle sue acque territoriali e i pescatori senegalesi si sono trovati senza più nulla. La propaganda crea disinformazione sul tema delle migrazioni». Cosa fare per limitare un dramma che purtroppo esiste, chiedono dalla platea? «L’occidente e l’Europa – risponde Ibrahima – devono smetterla di stringere accordi con dittatori e con la mafia che controlla le prigioni come quelle libiche, le multinazionali non devono sfruttare il continente, è urgente bloccare il traffico delle armi. Senza questi tre passaggi sarà impossibile scrivere un futuro diverso per l’Africa».

L’Italia che il più delle volte è solo terra di passaggio è diventata per Ibrahima una seconda casa, non senza problemi. Ha trascorso un anno in un centro per minori non accompagnati, ne è uscito con uno zaino. Ha lavorato a Venezia 10-12 ore al giorno per 300 euro pur di avere un contratto che gli permettesse di restare. Una persona a cui aveva ceduto il posto sull’autobus gli ha dato la possibilità di lavorare nel suo panificio. Intanto Ibrahima ha potuto raccontare la sua storia e ha scritto due libri. Il primo – Pane e acqua, racconto del suo viaggio -, è tra quelli che ha ispirato il film di Matteo Garrone Io capitano. Oggi fa l’assistente ad un parlamentare europeo a Bruxelles ma continua ad andare nelle scuole per parlare con i giovani e incontrare le persone. Sabato sera a ha partecipato alla proiezione del film Io capitano organizzata dai circoli tematici del Pd L’Isola che non c’è e Orosei-Valle del Cedrino. 

«Ora – ha detto in conclusione ai ragazzi del Liceo – ho capito cosa significava camminare sopra le spine. Dovevo attraversare tutta quella sofferenza ma ho la fortuna di raccontarla». Anche la religione ha avuto un ruolo importante: «Sono credente musulmano, la mia religione mi ha insegnato a ricordare il bene che ho ricevuto e a dimenticare le offese e il male subito. Ho incontrato Papa Francesco, ho parlato con lui e apprezzo il suo esempio. Le religioni possono fare la loro parte – ci confida Ibrahima – per aiutare tutti ad aprire gli occhi e guardare come se fosse il loro fratello o la loro sorella la persona che sta annegando in mare o che sta morendo nel deserto o che sta vivendo le torture in Libia».

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--