ph Pietro Basoccu
Carcere ostativo e morte per pena
"L'ergastolo non è la soluzione dei problemi ma un problema da risolvere”. (Papa Francesco)
di Francesco Mariani

10 Novembre 2022

3' di lettura

Uno dei primi atti del governo Meloni è la conferma dell’ergastolo ostativo, già votata ai tempi di Draghi. Esso prevede che i condannati per alcuni reati gravi, in particolare mafia, terrorismo e associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, non possano accedere ad alcun beneficio penitenziario, come i permessi premio e il lavoro esterno. A meno ché non decidano di collaborare con la giustizia, dimostrando così il loro ravvedimento. La Consulta ha stabilito che fare «della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

L’Ortobene si è da lungo tempo schierato contro l’ergastolo ostativo. Questa pena, infatti, assomiglia più ad una vendetta che ad una punizione rieducativa. Confina il condannato in uno spazio-tempo più simile alla morte che all’espiazione. È vero: il principio della certezza della pena non può essere archiviato o sottovalutato. Ma una pena fine a sé stessa non serve a nessuno.

Sulla terra non avremo mai una giustizia perfetta e appagante. Uno che è stato ucciso non resuscita con la condanna all’ergastolo del suo assassino. Neanche la pena estrema, la condanna a morte, può far sì che la vittima ritorni in vita. A certi torti si può trovare rimedio più o meno appagante ma a tanti altri non c’è questa possibilità. In ogni caso, statistiche alla mano, anche inasprire all’estremo le pene non serve come deterrente alla criminalità e non abbassa il numero dei delitti efferati.

Se uno trascorre in carcere metà della sua esistenza, o interminabili tempi al 41 bis, non si può aspettare che muoia per dire che giustizia è fatta. È brutale dirlo ma, in queste condizioni, anche la pena di morte è più umana del nostro ergastolo ostativo di ogni beneficio. Più umana di processi che tengono in croce a vita. Papa Francesco ebbe a dire: «In ogni delitto c’è una parte lesa e ci sono due legami danneggiati. Ho segnalato che tra la pena e il delitto esiste una asimmetria e che il compimento di un male non giustifica l’imposizione di un altro male come risposta. Si tratta di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore».

Il neo ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con alle spalle quarant’anni da pubblico ministero, nell’ultimo libro pubblicato neppure due mesi fa, il 30 agosto 2022, sottolineava che il carcere ostativo fosse «un’eresia contraria alla Costituzione. Spiace per chi a destra la pensa così, ma il punto è evidente: il fine pena mai non è compatibile, al fondo, con il nostro Stato di diritto». Neanche messo il piede dentro il governo si è trovato ad ingoiare un decreto che è esattamente il contrario di quanto da lui scritto.

In ogni caso, l’8 novembre, la Consulta riesaminerà la questione e valuterà anche il contenuto del decreto-legge. Staremo a vedere. Senza troppe illusioni: l’elettorato italiano e i partiti presenti in Parlamento sono in larga parte decisamente forcaioli, sulle questioni della giustizia ragionano con la bile non con la testa, a seconda degli umori delle piazze che oggi chiedono il linciaggio e domani il “liberi tutti”.

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