L’autonomia differenziata in Sardegna esiste già
di Mario Demuru Zidda
23 Dicembre 2024

Dando un breve sguardo retrospettivo alla storia politica della nostra regione, potremmo dire che non c’è stato Consiglio o Giunta che, dalla costituzione della Sardegna in Regione autonoma, cioè dal 1948 in poi, non abbia ribadito opportunamente il principio fondante dell’Autonomia. Molte forze politiche ne rivendicano orgogliosamente perfino la primogenitura – almeno come eredità storica – visto che dei partiti di allora c’è (nominalmente) un solo sopravvissuto.

Occorrerebbe forse ricordare che non tutte le forze politiche presenti in Consiglio possono ritenersi storicamente “autonomistiche”. Ma il tempo ha saggiamente mescolato le carte, a tal punto che oggi nessuna sollecita un distinguo.

Prova ne sia la celebratissima “Die de sa Sardigna”, con cui si vorrebbe esaltare, in modo bipartisan, il significato storico dell’Autonomia, nell’intento di rivitalizzarne lo spirito.

Ora accade che proprio quest’anno è entrata nel vivo la discussione sul disegno di legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, che ha ottenuto di recente il via libera della Camera. 

Come sappiamo, il partito promotore di questa riforma – che deriva dalla modifica del titolo V della Costituzione (2001) – è la Lega, tramite Roberto Calderoli, ministro per gli Affari Regionali.

La Regione Sardegna, durante la presidenza Solinas (PSd’Az), ha espresso il sostanziale assenso a tale riforma, che si propone di modificare radicalmente l’assetto regionale dello Stato, tanto per le regioni a statuto ordinario, quanto e soprattutto per quelle a statuto speciale.

La giunta sarda attuale, con in testa la Presidente Todde, ha espresso con forza la propria contrarietà, impugnando la Legge Calderoli davanti alla Corte Costituzionale in quanto lesiva dell’autonomia regionale. Gli esiti del ricorso sono stati resi noti proprio in questi giorni con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza del massimo organo di controllo sul rispetto della nostra Costituzione. 

In sostanza: si dice sì, in linea di principio, all’autonomia differenziata, ma non a quella pensata dal ministro Calderoli, che introdurrebbe forti discriminazioni fra le regioni, di fatto rompendo l’unitarietà dello Stato, accentuando i divari fra i territori e violando i principi di solidarietà e uguaglianza insiti nella Costituzione. L’effetto ultimo della proposta Calderoli sarebbe che non verrebbero neppure garantiti «i livelli essenziali di prestazioni e servizi», rendendo praticamente invivibile il Sud e le Isole.

Nel momento stesso in cui la Regione Sardegna ha avuto soddisfazione dalla Corte Costituzionale, si pone però la necessità di una riflessione più seria sulla adeguatezza del nostro Statuto e sullo stato di salute della nostra Autonomia, proprio in relazione ai principi che con tanta forza abbiamo difeso sul piano generale.

Cioè dobbiamo chiederci se, al nostro interno, siano tutelati quei principi di uguaglianza, solidarietà e diritto ai livelli minimi di prestazioni e servizi rivendicati, di fatto, nei confronti dello Stato col richiamato ricorso alla Corte.

È legittimo porsi la domanda, sia perché la nostra Autonomia non è mai stata sottoposta a una revisione seria che ne aggiornasse visione e strumenti legislativi; sia perché già dagli anni ’80 si sono andate affermando tesi e orientamenti a favore delle cosiddette “aree forti”: cioè investire maggiormente in quelle aree capaci poi di fare (teoricamente) da volano per lo sviluppo delle aree più deboli!

Lo stesso principio di sussidiarietà, per cui molti finanziamenti Europei, dello Stato e della Regione, sono ripartiti da quest’ultima commisurandoli alla popolazione di ciascuna area, città o paese, senza alcun altro criterio perequativo, pone ancora una volta interrogativi sui livelli di solidarietà interna. 

Se poi a questo si aggiunge l’esito della legge elettorale regionale, che privilegia la rappresentanza dei territori e delle città più forti o in crescita demografica, con la conseguente prevalenza delle città metropolitane sui capoluoghi e i territori delle provincie tradizionali, sembra di assistere a una Autonomia che rinuncia ad avere un ruolo attivo nel riequilibrio delle aree e sub-aree; sia in termini economici e demografici, ma anche di pura e semplice abitabilità!

Già il professor Savona con la celebre teoria della “pentola bucata”, dello sviluppo disuguale, o della Sardegna rappresentata come una “ciambella col buco”, o come una clessidra con la strozzatura al centro, hanno dato l’idea della mancanza di una visione della politica tesa ad “ammagliare” la rete dei territori, che ricucisse gli strappi e potesse restituirci l’immagine di una Sardegna solidale, coesa ed equa.

Perfino i festeggiamenti per il Capodanno 2025 rafforzano quest’idea: la mappa degli eventi è emblematicamente e per intero distribuita sulle principali città e località turistiche della costa.

A tutta la Sardegna interna non resterà che migrare, perfino per il classico brindisi…. per il quale, a Nuoro e nel nuorese, già oggi c’è poco o nulla da festeggiare!

Dunque la domanda conclusiva è la seguente: noi che siamo stati fieramente contro l’“autonomia differenziata”, vessillo della Lega nordista, possiamo essere orgogliosi della nostra “autonomia indifferenziata”?… o, se si preferisce, “differenziata” sì, ma a favore delle aree più forti e più dotate? 

Ricordiamo almeno a chi ha responsabilità di governo che lo spopolamento non lo manda Dio, e non è neppure un’ineluttabile legge di natura o un evento calamitoso: lo spopolamento, oggi, è un effetto della cattiva politica e delle concause che essa stessa crea.

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