Regione, va bene copiare ma bisogna saperlo fare
di Sergio Nuvoli
28 Giugno 2025

È stata presentata nei giorni scorsi «un’iniziativa legislativa che mira a rafforzare il sistema regionale di tutela per le donne che hanno subito gravi violenze fisiche con danni permanenti al volto e al corpo, riconoscendo loro uno status giuridico ed economico assimilabile a quello delle vittime di mafia». Così si legge in un comunicato ufficiale, che da conto di una proposta di legge firmata da Lorenzo Cozzolino, consigliere regionale con un robusto passato nel Partito democratico (dal 1998 al 2010 in consiglio comunale a Cagliari, quindi assessore provinciale alla programmazione), eletto stavolta nella lista dei socialisti e presto trasmigrato in quella di “Orizzonte comune”. Medico attivo e molto stimato, ambiva nella prima fase della legislatura a guidare la commissione sanità del Consiglio ma, rimasto a bocca asciutta, fece esplodere un “piccolo caso” poi rientrato.

«La proposta interviene a sostegno dei figli rimasti orfani a causa di femminicidio – continua la nota stampa – offrendo loro misure concrete di protezione, assistenza e accompagnamento psicologico e sociale». Assistenza integrata, interventi specifici, rafforzamento delle politiche regionali, parificazione dei benefici a quelli delle vittime di mafia: sono i quattro pilastri dichiarati della legge proposta.

Tutto bene, tutto bello, si dirà. Peccato si tratti di una norma che sembra fare il verso – si riferisce, “si ispira”, usate voi il verbo che più vi piace – alla cosiddetta “legge Busia”, dal nome dell’avvocata nuorese (Anna Maria) che per prima è riuscita a farla approvare dai due rami del Parlamento italiano, in vigore dal 2018. Sia ben chiaro: per non fare torto a nessuno, il disegno di legge presentato da Cozzolino precisa che «nasce dalla necessità di migliorare le norme precedentemente approvate in Consiglio regionale (leggi regionali 33/2018 e 48/2018) offrendo così un segnale forte e concreto da parte della Regione Sardegna». Una sorta di riedizione di quanto accaduto con il decreto Salvini sulle case, come se per il Consiglio regionale sardo non bastasse una norma nazionale da applicare. Si sa: noi sardi vogliamo sempre fare meglio degli altri.

Tutte le leggi sono perfettibili, sia chiaro. Ma in una regione con enormi problemi, forse sarebbe meglio concentrarsi sulle urgenze e non su materie già codificate, che magari necessitano di regolamenti attuativi, non di nuove leggi fotocopia. È il caso di far funzionare leggi già in vigore, e certamente l’intento del consigliere regionale è questo, ma la coincidenza tra le due norme strappa gli occhi a un cieco.

Ma il caso di Cozzolino non è l’unico: appena un mese fa, i consiglieri del gruppo “Uniti per Todde” Sebastian Cocco, Giuseppe Frau e Valdo Di Nolfo hanno presentato un testo di legge di 12 articoli «per promuovere la natalità come valore fondamentale e rafforzare il benessere familiare e la coesione sociale». Con un notevole sforzo di fantasia, hanno battezzato la loro proposta “Sardegna family”: denatalità, spopolamento, sostegno alla famiglia le parole chiave di questa bella pensata. 

Sia chiaro anche in questo caso: il problema di fondo – l’assenza di politiche strutturate in favore dei nuclei familiari – è serissimo.

«Il modello proposto – sottolineano i consiglieri – è quello adottato negli anni scorsi dalla Provincia Autonoma di Trento che, nel 2016, ha sottoscritto il protocollo d’intesa “Family audit” con lo Stato. Provvedimento a cui nel 2018 guardava con interesse anche la Sardegna. La Giunta Pigliaru approvò un accordo di collaborazione per il raggiungimento degli obiettivi». Ora serve una cabina di regia, spiegano i proponenti, l’istituzione dei “distretti per le famiglie” e l’attivazione della “Carta sarda per le famiglie” che consenta di usufruire di sconti, agevolazioni e servizi dedicati, ricchi premi e cotillon. Il riferimento esplicito – «quando una cosa funziona non ci dobbiamo vergognare di imitarla», ammettono i tre onorevoli – è alla Provincia Autonoma di Trento che tanto ha fatto sul tema.

Peccato che a settembre 2021 (quasi 4 anni fa) sia stato firmato un accordo tra Regione Sardegna, Comune di Alghero e Provincia Autonoma di Trento con il quale tuttora si riconosce al comune catalano il ruolo di capofila e di guida per i comuni sardi che vogliano ottenere la certificazione di comune Amico della famiglia e di sensibilizzazione sulle politiche Family portate avanti dalla Provincia Autonoma di Trento. «La firma del protocollo è l’importante conclusione di un percorso e contemporaneo rilancio da parte della Regione Sardegna che sposa in toto il modus operandi della Provincia Autonoma di Trento», sottolineava Luciano Malfer, Dirigente dell’allora Agenzia per la famiglia della Provincia autonoma di Trento. L’occasione fu la prima Convention regionale per le politiche familiari, messa in piedi dall’Ufficio politiche familiari della cittadina catalana. In altre parole, la Sardegna è già nettamente più avanti di quanto ipotizzato nella proposta di legge.

Volete sapere chi firmò per la Regione? «È pronto il bando a favore delle imprese per la certificazione dei processi di conciliazione lavoro/famiglia grazie a venti consulenti e valutatori pronti a guidare le realtà sarde», puntualizzò poco prima di siglare l’intesa Giovanni Deiana, allora direttore generale delle Politiche sociali, riferendosi al personale formato appositamente dalla Trentino school of management. Nuorese stimatissimo per sensibilità e preparazione culturale (prima ancora che accademica), oggi Deiana è direttore generale della Presidenza della Regione. Praticamente il braccio destro amministrativo di Alessandra Todde.

Per non partire da zero, ai tre consiglieri sarebbe stata sufficiente una telefonata a Deiana. O magari anche solo un messaggio whatsapp. O, magari, una trasferta (pagata) ad Alghero per scrivere la proposta di legge insieme a chi conosce bene la materia, perché è vero che non bisogna vergognarsi di copiare. Però bisogna farlo bene.

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