Diritto naturale e diritto positivo
di Francesco Mariani

10 Dicembre 2024

3' di lettura

È una questione molto complessa eppure cruciale, riguarda tutti ma in pochi la colgono. Stiamo parlando del rapporto tra diritto naturale e diritto positivo. Il primo si basa sul presupposto che esistano diritti e principi morali universali e immutabili, validi in ogni tempo e luogo, ossia innati nella natura umanae non creati dalle leggi scritte. Esso è come un minimo denominatore comune tra tutti i popoli e riguarda principi come la giustizia, l’uguaglianza, la libertà, il diritto alla vita, all’istruzione ecc. Non si tratta di un codice scritto ma di un insieme di principi morali e etici preesistenti che dovrebbero guidare le leggi umane. 

Il diritto positivo(chiamato anche diritto vivente) invece è quello scritto ed emanato da un organo di potere, come il re, il Parlamento o il Governo e riguarda norme di vario tipo. Il cittadino deve rispettare tale diritto anche quando va contro il suo personale convincimento. In taluni casi è ammessa l’obiezione di coscienza, ma in generale sono previste sanzioni per chi non osserva le norme. 

Riassumendo: il diritto positivo deriva da chi detiene il potere e può variare nel tempo in base al mutare di chi è al Governo; il diritto naturale si basa su principi immanenti alla natura, per questo ritenuti universali e immutabili.

Papa Giovanni Paolo II nell’Istruzione Donum vitae sottolinea come le inclinazioni naturali anticipino e suggeriscano i princìpi normativi. Nella realtà corporea è inscritta la legge naturale: «[…] essa si riferisce alla natura propria e originale dell’uomo, alla “natura della persona umana”, che è la persona stessa nell’unità di anima e di corpo, nell’unità delle sue inclinazioni di ordine sia spirituale che biologico e di tutte le altre caratteristiche specifiche necessarie al perseguimento del suo fine». La legge morale «non può essere concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita come l’ordine razionale secondo il quale l’uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e a regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio corpo». Non vi sono “valori spirituali”“valori sentimentali”,“valori attinenti alla sfera della corporeità”, separati gli uni dagli altri, misurabili secondo i calcoli delle scienze quantitative.

Oggi assistiamo ad una censura dei diritti naturali e ad uno strapotere di quelli positivi. Sembrano due mondi incomunicanti. Se per lungo tempo reato e peccato coincidevano ora non è più così. L’aborto è peccato ma non reato; fumare una sigaretta alla fermata dell’autobus non è peccato ma reato sì; non pagare una tassa perché impossibilitati non è moralmente da condannare ma per la legge sì; essere tirchi all’inverosimile non è reato ma peccato sì. Per paradosso invece si potrebbe dire che tutto quanto non è reato non è neanche peccato: la legge sostituisce la morale. Ma una società senza basi morali condivise è destinata al suicidio perché non esiste legge in grado di sostituire la coscienza della persona: la può comprimere o incanalare ma non certo creare. Una politica amorale può dar vita a nuovi poteri o eternare successioni dinastiche ma non certo suscitare partecipazione e trasparenza. 

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