28 Giugno 2025
8' di lettura
Una pagina Facebook con 246.444 follower, altri 53.100 su Instagram, un canale YouTube con 137.000 iscritti: basterebbero questi numeri a presentare don Francesco Cristofaro. Ma oltre allo schermo c’è di più, c’è soprattutto la testimonianza di una vita offerta per annunciare il Signore e portare a Lui più persone possibili. Anche per questo una parte di quella comunità virtuale che lo segue quotidianamente si è data appuntamento a Nuoro dove è arrivato per la prima volta il 18 giugno scorso. L’idea di Angelino Fele, subito sposata dalla parrocchia guidata da don Mario Mula, si è trasformata in una serata nella quale il sacerdote calabrese ha presieduto l’Eucarestia e ha poi offerto la sua testimonianza a partire dall’ultimo libro appena pubblicato. Lo abbiamo incontrato poco prima di questo appuntamento.
Don Francesco, leggendo il tuo libro si ha la sensazione di essere di fronte a un piccolo corso di esercizi spirituali. Al termine di ogni capitolo compaiono spunti per la preghiera e domande a cui rispondere pensando alla propria vita. È scritto anche con l’intenzione di stimolare nel lettore un cammino, anche un esame di coscienza?
«Ogni mio libro parte da una situazione che vivo. Per Luce sul mio cammino, la situazione storica è un trasferimento. Quando si trasloca c’è sempre qualcosa che lasci, qualcosa che vuoi portare con te e soprattutto qualcosa di nuovo che vuoi intraprendere. Nella copertina c’è una valigia fiorita, proprio a indicare che la nostra vita è un viaggio, però purtroppo non è soltanto fatta di fiori, cioè di cose belle, ma anche di cose che ci segnano, ci cambiano, che sono negative per il nostro cammino. In questo viaggio noi siamo invitati ogni giorno a riscoprire l’amore misericordioso di Gesù, che non ci abbandona, che ci prende per mano, ci fa sentire la sua presenza di padre, di fratello, di amico, di consolatore. Quindi il viaggio nella misericordia del Signore (questo il sottotitolo del libro ndr), innanzitutto è un viaggio che ripercorre alcune tappe della mia vita e poi è intrecciato con tante storie di persone che ho incontrato in questi anni, di Santi, di vite comuni, segnate da questo incontro misericordioso».
C’è un capitolo, quello centrale, in cui affronti il tema della disabilità anche ricorrendo alla tua esperienza personale. Come fare in modo di avere non uno sguardo di pietà nei confronti dell’altro ma uno sguardo di amore?
«Io ho vissuto questi due momenti: dalla non accettazione all’accettazione, dalla lotta contro me stesso, contro Dio, contro gli altri, contro mia madre, alla quiete, alla pace del cuore e dello spirito. Tutto ciò che accade nella nostra vita noi lo possiamo leggere in due modi: o come punizione di Dio o come segno di Dio che ci vuole insegnare qualche cosa. Partiamo dal fatto che Dio non punisce, Dio insegna, forma, e questo l’ho riscoperto leggendo una pagina di Vangelo, in un momento triste della mia vita, in un momento in cui, preso dalla disperazione, ero salito al terzo pieno di casa e mi ero affacciato dal balcone perché tutti questi appellativi, poverino, inutile, incapace, inetto, mi ferivano tanto. La parola del Vangelo era quella del cieco nato in cui chiedono a Gesù: “Maestro, chi ha peccato perché lui nascesse così? Di chi è la colpa per questa sua disabilità?”. E Gesù risponde – e questa risposta naturalmente era per me, in quella chiesa, quel giorno -: “Nessuno ha peccato, nessuno ha sbagliato, lui nasce così perché attraverso di lui si manifestino le opere di Dio”. Quindi Gesù stava dicendo a me che a lui non interessava la mia disabilità, che lui però la usava per farmi uno strumento di bene, di luce per qualcun altro, per chiunque mi avesse ascoltato e incontrato. E questo allora non lo capivo, lo capisco oggi, dopo tanti anni in cui ho girato l’Italia dal nord al sud, dal sud al nord, fino alla Sardegna che mi mancava. Questi incontri testimoniano appunto che a il Signore aveva bisogno di me, che mi definisco sempre un piccolo prete, non tanto di statura quanto piccolo come strumento, ma efficace se rimango tale».
Hai una comunità virtuale che è molto grande, una grande famiglia. Ma i social spesso sono vissuti da soli, quindi incontri anche molte solitudini. Come vivi questa missione digitale?
«Quando io ho iniziato a usare i social mi sono imposto di testimoniare la bellezza della vita. Siccome questo era un canale che poteva arrivare a diverse persone, certamente all’inizio non avevo immaginato questa portata mondiale, ho cominciato ad usarlo. Naturalmente uso l’ambone, l’altare, la strada, l’ospedale, le carceri, ma questo arriva molto più immediato. La mia caratteristica non è quella di fare video per far ridere, come fanno altri, ma sta nel creare dei contenuti per far riflettere, per mettersi in discussione, per sentirsi amati, per non sentirsi abbandonati. Perché un giorno io ho ricevuto una mail che mi ha molto segnato: una persona mi diceva: “Lei padre prega per le famiglie, per i giovani, per gli ammalati, si ricordi anche che ci sono delle persone che non hanno famiglia, che vivono sole da tanto tempo”. Questa mail mi ha tanto segnato e quindi creo dei contenuti come se mi volessi rivolgere a quella singola persona, in modo che ognuno possa dire “questo video è per me”. La vita reale rimane vita reale, però i social sono importantissimi e possono aiutare, certo fanno anche tanto male quando vengono usati male».
Nel tuo libro come pure nelle tue conversazioni ti servi anche di testimoni, c’è Maria, ci sono i Santi, come Carlo Acutis ad esempio, e molti altri. C’è bisogno anche di questo.
«Intanto queste figure le ho incontrate io per primo nella mia vita, e come sono state importanti per me sono entrate anche nella vita di tanti altri. Faccio un piccolissimo esempio, in un altro libro ho scritto proprio la storia di Carlo Acutis; incontro la madre, perché mi deve raccontare la storia del figlio: siamo ad Assisi, nel Santuario della spoliazione dove c’è la tomba di Carlo. In quel momento ho una sorella che vive un problema di salute e così ne parlo alla mamma che mi dice: “Scrivimi un biglietto e lo metterò sul letto di Carlo”. Ecco come Carlo è entrato nella mia vita, come in quella di tanti che si affidano a questa intercessione. Lo stesso è accaduto per me con padre Pio, con cui ho avuto un rapporto conflittuale. Da quando è entrato nella mia vita tutte le richieste sacerdotali in particolare le metto nelle mani di questo sacerdote santo. Perché il sacerdote deve essere questo, un ponte tra Gesù e gli uomini, lui era un bravo ponte, lui era un ponte potente e io vorrei semplicemente un poco imitarlo in questo».
Incontri tante persone, ricevi mail, lettere: di cosa pensi abbiano più bisogno le persone in questo momento storico?
«Quando incontrai per la prima volta Papa Francesco sul sagrato di Piazza San Pietro, lui dopo la Messa si fermò davanti a me e gli dissi: “Santo Padre sono un sacerdote con disabilità, offro le mie sofferenze anche per la sua missione”. Lui mi disse: “grazie”. Poi si fermò tre secondi, mi guardò negli occhi e mi disse: “Gesù ti vuole bene”. Io ho preso questa frase di Papa Francesco e da allora l’ho detta a tutti, a quanti ho visto nella sofferenza, in un letto di ospedale, nelle carceri, nelle case, nelle confessioni, ovunque. Ecco io penso che la gente oggi abbia bisogno di sentirsi dire “Gesù ti vuole bene”».


Chi è
Don Francesco Cristofaro (Catanzaro, 1979) è parroco di Santa Maria Assunta di Simeri Crichi. È nato con una paresi spastica alle gambe ma grazie alle continue terapie riesce ancora a camminare autonomamente. È diventato sacerdote nel 2006 e ha conseguito la licenza in Teologia Spirituale presso la Pontifica Facoltà Teresianum di Roma. Il suo ultimo libro è Luce sul mio cammino (Bur Rizzoli). Tra gli altri titoli Il tempo del perdono (San Paolo), La speranza che cerchi e Le vie di Maria (entrambi per Bur).


