Liù Bosisio, Paolo Villaggio e Plinio Fernando in uno scatto di scena da Fantozzi (1975)
Fantozzi Rag. Ugo, uomini e no
di Angelo Sirca

15 Aprile 2025

3' di lettura

Gli anni Settanta, anni di sangue e di speranze, di rivoluzionari che volevano cambiare il mondo, acconciatisi infine, e pure bene, a vivere in questo. A metà decennio appare sugli schermi cinematografici Fantozzi Ugo, ragioniere, matricola 7829/BIS, impiegato in ditta, servile e pusillanime, goffo e imbelle. Fantozzi Ugo con moglie, bruttina, Pina, e figlia racchia, Mariangela, a carico, cerca di conquistare la collega Silvani; fedele, ma non disdegna le occasioni in cui cedere alle tentazioni. Guida la bianchina e va in vacanza conducendo un carro funebre. Va in bici e salta via il sellino, si siede comunque: quanti si sono comunque seduti.

Fantozzi Ugo uomo medio e mediocre. Appassionato di calcio esprime la sua libertà con reboanti rutti. Costretto a sorbirsi film insopportabilmente noiosi, ha allora il guizzo che lo fa eroe per molti di noi: la definizione della corazzata, grido catartico, fa giustizia delle barbose esegesi dei cineclub. Fantozzi Ugo, la frittatona di cipolla e il pranzo dalla contessa, un mondo fatto di finte etichette e di regole demodé; l’imbarazzo nello scegliere le posate, il collega Filini lo risolve infilandosi il tordo nella manica del frac. I nuovi ricchi e le vacanze in montagna, millantato credito e millantate conoscenze. Il conte duca, vittima di balorde superstizioni, se lo porta al casinò e qui si vince e si perde. Vinti e sconfitti. Gratta e vinci dei nostri giorni. La fregola salutista, dieta tedesca e fame atavica. Fra un po’ sarà estate, prova costume: non si guarda a spese si rifanno il viso e anche il sedere. Riunioni di condominio, ordalie in salotto, chi paga la quota e chi accusa il vicino. La politica e le sue promesse: più soldi per tutti, meno tasse per tutti. E poi in cabina elettorale si tira lo sciacquone. L’italiano è una lingua maledetta: «Faccio l’accento svedese?», «Batti lei?» I congiuntivi e i congiunti.   

Con gli anni gli episodi della saga sono andati spegnendosi, ma la serie (10 film) rimane un cardine per chi voglia capire cosa sia stata una certa Italia. Liù Bosisio, la prima Pina della serie, in una recente intervista ha affermato: «Fantozzi non è stato capito, è un quadro impietoso di una certa società del tempo». E probabilmente ha ragione: la serie può essere vista come un accumulo di gag più o meno riuscite ma anche come una feroce satira contro il produttivismo e il potere.  Villaggio ha creato una maschera (anche se non ha la grazia geniale di Totò che con l’improvvisazione e con la mimica nobilitava anche i copioni ciofeca) tragica e ridicola, patetica e invidiosa, dispettosa e succuba.

A sua volta Villaggio Paolo era taccagno (si dirà genovese), ombroso e perfido, colto e intelligente. Demoproletario con la barca a Portofino e la settimana bianca a Cortina. Ma anche Villaggio Paolo tolta la maschera aveva le sue debolezze: basti ascoltare l’intervista che rilasciò a Giovanni Minoli in cui parla del figlio drogato. L’attore è un uomo come tutti gli altri con i propri rimorsi e i propri rimpianti. Può sempre succedere anche se c’è il sole che una nuvoletta di pioggia finisca per bagnarci.

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