In primo piano Salvatore, in fondo il fratello Giovanni
Gli ultimi ereditieri dei segreti dell’orologeria nuorese
di Gianluca Bardeglinu

29 Aprile 2025

3' di lettura

In via Lamarmora a Nuoro, chi passa dinanzi alla loro bottega, resta affascinato dalla sapienza di movenze lente, ritmate e ferme. Settant’anni trascorsi al banco, tra giraviti di precisione, pinzette costantemente affilate, olii specifici e benziniere. La precisione prima di tutto. I fratelli Ticca si formano in una Nuoro che stava assumendo i tratti di una città elegante. Il Corso, dove lavoravano assieme ad una compianta sorella, era stracolmo di gente che sull’orologio regolava i ritmi della vita. La manualità è paragonabile a quella dei chirurghi e, vedendoli ancora oggi al lavoro, nell’equilibratura dei bilancieri o nel raddrizzarne le molle spirali, si apprende quanto sia complessa ed esasperante la professione. 

Giovanni Ticca nasce nel 1940, apprende l’arte dallo zio materno, di cui è orgogliosamente figlioccio prediletto: Tziu Bobore Pinna. Originario di Dorgali, capostipite dell’orologeria nuorese che nei primi anni cinquanta forma tecnici di prim’ordine, molti dei quali transitati poi nella bottega del fratello Billia, pluripremiato orafo, da quest’ultimo uno dei fratelli Ticca, Bastianino, apprende la professione poi sviluppata in proprio. Tziu Bobore invece, padre di Gianni, nonno di Manuel, che gestisce attualmente il laboratorio del padre, perfeziona da Zurru a Zedda, ma è con il figlioccio che vince la scommessa, entrato in bottega a soli dodici anni, messosi in proprio nel 1963, con il benestare del padrino con cui resta in costante collaborazione fino alla sua morte prematura. 

Concessionario ufficiale di marchi prestigiosi come Zenith, Longines Eterna e Bulova, Giovanni forma il fratello Salvatore, specializzato nei quarzi, con cui oggi condivide la bottega in via Lamarmora; Manlio, il più piccolo, dal carattere fermo come la mano, che aveva esportato arte e mestiere a Macomer e, in ultimo, il nipote Giuseppe. «L’ascesa nel mercato dello Swatch, cassa monoblocco non riparabile, prodotto in Svizzera, è il primo freno a mano del settore. Gli orologi spazzatura, le batterie allo zinco–carbone, la concorrenza di Internet, gli Apple Watch, le politiche fallimentari, la chiusura di centinaia di grossisti – racconta con rammarico – stanno portando verso un’inesorabile tramonto la nostra professione». Sua moglie, la signora Rita Magrini, lasciò la Sip dopo più di vent’anni di onorato servizio per aiutare il marito nella gestione del negozio alla vendita. Una donna bellissima, elegante dai modi gentili, garbati e di rara finezza, capace di dispensare ai clienti un sorriso impagabile. Un orologiaio può riuscire ad invertire il moto delle sfere di un segnatempo, ma non quelle del destino quando una malattia improvvisa ha reso orfani i clienti, il negozio, ma soprattutto il marito e i figli di una presenza insostituibile. A volte si vorrebbe che il mondo si fermasse dinanzi a certe mancanze, invece si sopravvive. Loro ancora sono al lavoro, con la medesima dedizione e serietà, nonostante il tempo, senza controllo, sia incapace a fare sconti, nemmeno a chi lo regola.

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