
14 Gennaio 2025
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Riportiamo il testo dell’omelia del Vescovo Antonello in Cattedrale, in occasione dell’apertura del Giubileo in Diocesi – domenica 29.12.2024 – Liturgia della Festa della Santa Famiglia
Tutti conosciamo che il tema scelto da papa Francesco per l’Anno Santo 2025 è ispirato alle parole di san Paolo quando, scrivendo la sua Lettera ai Romani, afferma: La speranza non delude (5,5).
Oggi siamo qui per confermarci nella fede degli animatori di speranza nel mondo, quella speranza che da soli non riusciamo a darci, ma che ci viene donata con la nostra adesione a Cristo, simboleggiato dal Crocifisso che abbiamo portato in pellegrinaggio. Dinanzi a lui saremo sempre in debito d’amore, perché lui ci precede sempre.
Nella Bibbia si parla del Giubileo quando Dio stesso si preoccupa di chi è diventato schiavo di un altro, a causa di un debito che non riusciva a pagare, o di una terra che era stato costretto a dare in cambio per recuperare lo stesso debito. Ogni cinquant’anni, chi si trovava in queste condizioni, veniva liberato dai pesi debitori, perché il Signore ricordava a tutti che «le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Levitico 25,23). Il diritto di proprietà quindi saltava in aria, perché ci sono dei doni, ad iniziare dalla vita, che non dipendono da altri ma da Dio solo.
Col Giubileo si realizzava quindi una forma di equità sociale, riducendo le diseguaglianze e contribuendo a tenere unita la comunità.
La Bibbia, sotto quest’aspetto è certamente innovativa, offrendo spazi e tempi di speranza che dovrebbero sorprenderci e incoraggiarci anche nell’oggi, soprattutto quando la realtà perpetua nuove diseguaglianze e diversificate schiavitù.
Sappiamo che l’inizio del Giubileo era contrassegnato dal suono profondo e penetrante di un corno di ariete. Sarà Gesù a rendere efficace il tutto con un messaggio di amore e di giustizia, che riguarda tutti i popoli.
Anche oggi abbiamo bisogno che qualcuno ci suoni una sveglia, come fa il gallo col suo canto del mattino. Abbiamo bisogno di riacquistare un ritmo liberante, più forte dei giorni sonnolenti o anche solo faticosi e soffocanti della nostra storia contemporanea.
Forse dovremo vivere questo Anno Santo come un anno zero, per ricominciare a credere in Dio e nella vita, nella nostra madre terra – sempre meno considerata – recuperando quindi fiducia in noi e negli altri, oltre che nel futuro dell’umanità. Trovando ad esempio alternative a un individualismo esasperato e a una indifferenza dilagante, presenti anche nel cammino di fede, riscoprendo la fraternità, quel camminare insieme che vince le distanze e moltiplica la comunione umana ed ecclesiale. Abbiamo bisogno di un suono che ci comunichi un messaggio di salvezza, di rinascita e di riconciliazione, in tutto i campi.
In questo senso anche la pratica delle indulgenze, collegata alla remissione dei peccati, più che uno sconto di pena è la riscoperta della speranza che viene da Dio, per confermarci nella certezza che i nostri debiti saranno sommersi dal suo amore, perché lui è l’unico nel quale possiamo trovare non solo perdono ma anche salvezza.
In questo tempo di Natale la liturgia della Parola ci aiuta a sperare con dei verbi molto intriganti, alcuni dei quali si addicono al cammino giubilare, e ad essere pellegrini di speranza. Alcuni di essi ci accompagnano sempre, ed evocano metaforicamente molti passaggi della nostra vita.
Parlo di verbi come cercare o trovare, in negativo non trovare, ma anche tornare in ricerca, fino al verbo stupire. Sono i verbi che animano la vita familiare – quante volte i genitori pensano di aver perso i figli? O quest’ultimi non riconoscono più i genitori? – ma appartengono anche alla vita parrocchiale e, in generale, a quella vita di fede. Sono molto reali, soprattutto parlano della ricerca di una presenza che, mancando, si desidera.
Sono i verbi che contraddistinguono che richiedono un continuo pellegrinare, come sperimentarono Maria e Giuseppe, i quali cercano e non trovano per tre giorni il loro figlio, ad immagine del nostro cercare Dio per giorni e per notti – come mendicanti – perché talvolta sembra introvabile nella nostra vita.
E’ lui, anche in questo Giubileo, la presenza da cercare, perché l’abbiamo perduto tante volte. Per molti la sua presenza continua ad apparire sfuggente, altri non lo cercano più, ma spesso siamo, noi e lui, come gli amanti del Cantico dei Cantici, che si cercano ma faticano non poco a sincronizzare gli appuntamenti per trovarsi.
«Figlio, perché ci hai fatto così?», dice Maria, ed è come se riassuma anche con una domanda l’angoscia di molti che non cercano o non trovano più Dio nella loro vita.
Oggi diciamoci con convinzione che la fede è sempre un pellegrinaggio per scoprire dov’è Gesù nella nostra vita, arrivando magari dopo a capire che lui è altrove, sempre più avanti, e che il pellegrinaggio verso di lui lo dobbiamo sempre riavviare e mai dare per scontato.
Quando la fede si interroga mette in viaggio e fa camminare. Auguriamoci che quest’Anno Giubilare sia così, personalmente e comunitariamente. E facciamo nostre le domande che, ad esempio i salmi, mettono in bocca a chi vuole camminare alla ricerca di Dio: «Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco» (Salmo 26,8); «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia» (Salmo 62,2-3); «Fino a quando, Signore, continuerai a tenerti nascosto?» (Salmo 88,47).
«Figlio, perché ci hai fatto così?». In quest’ottica di fede quindi, la domanda di Maria ci rasserena, perché più che un rimprovero sembra la voglia sincera di capire. Anzi ci consola verificare che anche Maria e Giuseppe sono entrati qualche volta in collisione con il Mistero di Dio a cui, più che rimproveri o lamentele, occorre rivolgere domande.
Gesù stesso pone una domanda, a loro e oggi a noi, perché appaia chiaro il motivo del nostro cercarlo. E le sue parole potrebbero essere un vero progetto pastorale: «Perché mi cercavate. Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?».
Come pellegrini la nostra vera speranza dovrebbe essere quella di scoprire – come fanno Maria e Giuseppe – che la volontà di Dio ci rende liberi dalla tentazione di essere noi a dettare l’agenda a nostro Signore. Succederà molte volte anche agli apostoli nel Vangelo di non capire subito. Come oggi talvolta anche a noi. Maria e Giuseppe, dopo il ritrovamento di Gesù, accettano finalmente che su quel figlio non erano loro a dover decidere; lui aveva un altro pellegrinaggio da fare, diverso da quello che loro pensavano.
Anche il nostro cammino di fede è sempre chiamato a superare questo test di consapevolezza, presente tra l’altro in tutte e tre le letture di oggi: quello di verificare se accetto che ogni vita, direi ogni vocazione, sia sempre più grande della famiglia in cui nasce, e della comunità nella quale si esprime. Camminare conquistando questa certezza ci rende liberi, disponibili, accoglienti verso un mistero più grande che tutti ci riguarda, personalmente e comunitariamente. E al quale dobbiamo andare come a un pellegrinaggio.
Grazia autentica sarà sempre raccontare i nostri viaggi incontro al mistero di Dio: “Dimmi dove stai andando e cosa stai cercando? Dove Dio ti vuole condurre?”.
Giuseppe e Maria sono una coppia torchiata dalla vita proprio per questo. Scoprono gradualmente che la porta dalla quale dovevano passare era quel Figlio, troppo originale per essere solo un figlio solo per “loro”. Per questo sanno raccontarci il loro cammino non esentato da domande e dubbi, scoperto in una storia fatta anche di ferite, di attese e di risposte faticose. Come le mie e le tue, come le nostre.
Abbiamo la speranza che Dio ci aiuterà a passare dalla Porta che è Cristo per capire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. La porta che è Gesù, simboleggiata dalla Porta aperta per il Giubileo, si apre infatti verso di noi e, contemporaneamente, ci fa uscire nel mondo con la Grazia di Cristo risorto. Questo è l’augurio di fede che siamo chiamati a donarci.
La Vergine Maria con il suo sposo, che hanno sperimento domande arricchenti, ci aiutino a trasformare i nostri dubbi e le nostre ferite in risananti esperienze di incontro con Cristo e con la sua Grazia.
+ Antonello Mura

Il pellegrinaggio dal Santuario di Nostra Signora delle Grazie alla Cattedrale,
le due chiese giubilari della Diocesi, prima della Santa Messa.
Portato dagli Scout il crocifisso ligneo di Oliena che rimarrà esposto per tutto
l’anno in Cattedrale quale segno e memoria della misericordia del Signore
Il momento di preghiera a Badu ‘e Carros
Il primo momento di preghiera, all’apertura del Giubileo in Diocesi, è stato nella Casa circondariale di Badu ‘e Carros, dove il Vescovo si è recato insieme ad alcuni diaconi e sacerdoti. Con lui il cappellano don Roberto Dessolis: «Siamo stati accolti dalla direttrice e dal comandante e abbiamo poi vissuto un momento di preghiera intenso, molto profondo. Il Vescovo ha introdotto e guidato la preghiera – racconta don Dessolis – e ha rivolto ai presenti un pensiero dopo la proclamazione del Vangelo. È stata letta la preghiera del detenuto da una persona che l’ha sentita particolarmente sua. L’incontro è durato una ventina di minuti in tutto – prosegue ancora il cappellano -, vissuto con un gruppo di detenuti dell’Alta sicurezza e diversi agenti dell’Istituto. La vera bellezza di questo incontro è stato il pregare insieme. Il Vescovo – conclude don Dessolis – ha invitato tutti ad accogliere quest’anno giubilare nella gioia, lasciando spazio alla speranza che va oltre i confini e le mura del carcere: un invito di luce per vivere la vita con uno sguardo di speranza al di là di quello che i detenuti stanno provando».