
8 Giugno 2025
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Susanna Bernoldi, volontaria laica per Aifo, è stata ospite a Nuoro di un incontro promosso dalla locale associazione Amici di Raoul Follereau per volontà del presidente Armando Manca, in collaborazione con l’associazione culturale Gardenia. Da anni si occupa della causa del popolo palestinese.
Le immagini di questi giorni, insieme all’immobilismo della Comunità internazionale, lasciano un senso di impotenza insieme allo strazio. Ma c’è qualcosa che realmente possiamo fare da qui?
«La prima cosa da fare è voler conoscere e trovare le giuste fonti. Noi sappiamo – questo da sempre al di là della Palestina – che in media la comunicazione è nelle mani di grandi potenze e da qui deriva anche il rischio della vita dei giornalisti freelance, ma le fonti ci sono. La consapevolezza della realtà dà la forza di agire. Oltre alla conoscenza, che significa anche partecipare a convegni, leggere libri, seguire conferenze, c’è l’azione. Può essere partecipare a una manifestazione non violenta, firmare delle petizioni, cose molto semplici. Ma la cosa più importante e più potente, che è attiva dal 2005, è attuare il boicottaggio: è stato lanciato il BDS, boicottaggio, disinvestimento, sanzioni. Il singolo cittadino che vuole agire può aderire informandosi su quali sono i prodotti realizzati con il furto della terra e dell’acqua palestinese, con lo sfruttamento del lavoro del popolo palestinese e dire “io non compro”. C’è il disinvestimento che è stato fatto da banche, da Stati, lo staccarsi da parte di università e di accademie. Questo boicottaggio sta talmente funzionando bene che Netanyahu ha chiesto diventasse un reato. Il lavoro di voi giornalisti ha un valore immenso per dare un’altra verità, far sorgere dubbi, far sì che le persone abbiano coscienza di un genocidio che non è cominciato l’8 ottobre ma nel 1948».
“Scendiamo in piazza per opporci alla violenza e per salvare Israele – ha affermato Anna Foa, intellettuale ebrea -. Manifestare non vuol dire chiedere la distruzione di uno Stato, ma lottare contro il suo governo, contro la sua politica. Salvarla dal razzismo dei suoi estremisti”.
“I soldati israeliani devono ribellarsi e non eseguire ordini disumani”, ha affermato la scrittrice 94enne Edith Bruck, sopravvissuta all’Olocausto. È possibile criticare le politiche di Israele senza essere tacciati di antisemitismo?
«Precisiamo una cosa, dire che una persona che critica Israele è antisemita è proprio un errore, una ignoranza culturale, perché semita è sia l’ebreo ma lo è anche il palestinese, il fenicio, l’aramaico. Ormai però, nel sentire comune antisemita è chi si permette di criticare Israele. Chi lo critica, in realtà, è antisionista, cioè una persona che critica governi colonialisti ed estremamente razzisti. A partire dal primo congresso sionista la Palestina è stata definita terra nullius e accade quanto è già accaduto alla nascita degli Stati Uniti con il genocidio dei legittimi abitanti del Nord America».
In un tale contesto come è possibile parlare di pace?
«La cosa fondamentale, intanto, sarebbe smettere di armare Israele. Se Israele si sta permettendo una distruzione totale di un paese che era meraviglioso, è perché ricevono da decenni milioni di dollari al giorno in armamenti. E questo è un appello che dobbiamo rivolgere alla nostra Italia, al nostro Governo: la Premier Meloni l’8 ottobre disse “noi non manderemo più armi” ma per tutto il 2023, per tutto il 2024 e ancora adesso continua ad avere contratti, inviare armi e comprare sistemi tecnologici di sicurezza. Occorre sanzionare, cioè interrompere il flusso di armi da Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti. Secondo: la pace si può fare isolando Israele, facendo capire che non può più permettersi tutto quello che vuole. Esistono semi di speranza perché anche se la stragrande maggioranza del popolo israeliano vuole il genocidio, tante persone che hanno vissuto la Shoah o figli di persone che l’hanno subita non condividono e condannano le politiche del Governo israeliano. Ci sono sempre più giovani israeliani che rifiutano di fare servizio militare e riservisti che rifiutano di di rientrare, bisogna sostenerli. Occorre che gli Stati smettano di stringere mani che grondano sangue».
Due popoli due stati è una soluzione plausibile?
«Intanto bisogna riconoscere lo Stato di Palestina perché la pace si può avere solo se c’è reciproco rispetto. Per il resto penso sia difficilissimo. Israele, proprio per evitare il riconoscimento di uno Stato palestinese, dal 1948 non ha mai accettato di fissare dei confini. Poi bisognerebbe smantellare tantissime colonie che sono state costruite, strade molto belle che tagliano la West Bank in più parti e che sono percorribili solo dagli israeliani. Di fatto hanno già isolato tantissimi villaggi che non riescono più a comunicare tra loro, quindi geograficamente non so come sia possibile. L’altra strada sarebbe un unico Stato con Israele e Palestina, potrebbero convivere ma si dovrebbero rispettare».
La fede, non solo la nostra, che ruolo può giocare in questa partita così complicata?
«La fede non è fondamentalismo. Il fondamentalismo è tutto meno che fede, è la manipolazione e la strumentalizzazione di una fede a uso di potere, di interessi economici. La fede è tale se ti porta all’amore».
Chi è

Susanna Bernoldi ha insegnato per 42 anni. Ha sempre desiderato viaggiare e lo ha fatto andando in missione. Dopo tanti anni di esperienza a Calcutta nelle case di Madre Teresa, nelle missioni comboniane in Sud Sudan e in Amazzonia ha voluto capire e comprendere il cosiddetto “conflitto israelo-palestinese”. Dal 2009 è impegnata a fianco del popolo palestinese.
Medio Oriente, Cardinale Pizzaballa: «A Gaza situazione drammatica, catastrofica e vergognosa»
A Gaza è una «situazione drammatica, catastrofica, vergognosa, dobbiamo dirlo, dove la dignità delle persone, di quei 2,3 milioni di persone, non è tenuta in minima considerazione. Non possiamo pensare che siano tutti collusi col terrorismo e con il crimine». Lo ha afferma il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, in una recente intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000.
«È molto difficile prevedere – ha sottolineato Pizzaballa – cosa accadrà a Gaza. Vediamo cosa sta accadendo ora. C’è molto non detto perché pochi sono presenti nel territorio e quindi sanno esattamente cosa sta accadendo».
«Dobbiamo essere aperti a tutte le prospettive, – ha proseguito il cardinale a Tv2000 – tenendo alta comunque l’attenzione nostra, ma anche quella di tutte le chiese del mondo, di tutti quelli che ci vogliono ascoltare sulla gravità di quello che sta accadendo».
La piccola comunità cristiana di Gaza con il parroco Romanelli: «C’è sempre una finestra di speranza»
“Riposa in pace”. Con queste parole riportate dal Sir padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina della Sacra famiglia di Gaza, accompagna una foto pubblicata sui social che ritrae un giovane padre, nel sedile posteriore di un’auto, con in braccio il corpicino di suo figlio, avvolto in un lenzuolo bianco, un vero e proprio sudario, come quelli che si vedono nelle immagini dei bambini morti nella guerra di Gaza. La foto, scattata a Gaza City, porta la data del 25 maggio scorso e fissa tutta la condizione dei gazawi.
Finestra di speranza. Come accade regolarmente dal 7 ottobre del 2023 a invocare la fine del conflitto è anche la piccola comunità cristiana di Gaza. In un video pubblicato sui social della parrocchia, padre Romanelli condivide una riflessione sulla speranza in Dio: «Dobbiamo ricordare sempre che – ogni momento, ogni situazione che ci troviamo a vivere, come quella di questi mesi a Gaza – Dio è fedele e che c’è sempre una finestra di speranza. Quella finestra aperta che, nei ricordi del seminario in Argentina, era dipinta su un quadro dell’Annunciazione e catturava la mia attenzione. Da quella finestra entrano la luce e la speranza di Dio che illuminano la nostra vita anche se non riusciamo a capire tutte le cose che stanno accadendo. Quella finestra oggi la rivedo aperta in una piccola aula di legno del nostro oratorio parrocchiale dove accogliamo i nostri bambini. È un segno di speranza che vogliamo coltivare perché siamo certi che questa guerra finirà e che nulla è impossibile a Dio».

