Il caso del Pecorino Romano preoccupa sempre più gli allevatori che temono di ripiombare in una crisi come quella del 2019, per cui tanto avevano lottato. Una delle ultime polemiche che ha inaspriti gli animi, è quella secondo cui la Coldiretti avrebbe tenuto nascosto per un anno l’esito di un sondaggio, che vedeva i pastori sardi favorevoli alla modifica del disciplinare, in relazione all’esclusività della pecora sarda come produttrice di latte destinato alla trasformazione del pecorino romano. L’associazione, secondo queste voci, sarebbe stata ritenuta colpevole di parteggiare per gli industriali, dichiaratamente favorevoli all’attuale disciplinare secondo cui i capi devono essere allevati in Sardegna, ma non specificatamente autoctoni.

«La Coldiretti non ha tenuto nascosto alcun sondaggio – afferma Leonardo Salis, presidente Coldiretti Nuoro Ogliastra –. Circa 6 mesi fa, abbiamo realizzato un sondaggio online con 1300 soci e il 75% si è espresso contrario alle razze. Quando si è sollevato il polverone del mancato cambio del disciplinare, quindi di non tutelare le razze storiche, ci siamo preoccupati e abbiamo deciso di presentare il nostro sondaggio fatto democraticamente. Personalmente rivendico questa situazione dal 2021, sono stato presidente di una cooperativa per dodici anni e in quelle vesti, siccome potevo intervenire al consorzio di tutela, insieme ad un altro presidente Roberto Tuveri, ci eravamo mossi a favore delle razze autoctone».

Qualora continuassero a diffondersi in Sardegna allevamenti di razze spagnole e francesi come Asaaf o Lacaune a stabulazione fissa, poiché eccellenti produttrici di latte, la pastorizia nell’Isola verrebbe irrevocabilmente minata. Una regione già di per sé compromessa risulterebbe ancor più esposta a rischi epidemiologici dagli allevamenti intesivi. Il piccolo pastore delle zone marginali verrebbe sostituito dai grandi allevamenti, con latte prodotto in Sardegna ma che di sardo non avrebbe più nulla. La pastorizia storica da sempre simbolo culturale dell’Isola, basata sul pascolo della stessa terra madre, sparirebbe.

«Provengo da cinque generazioni di pastori – racconta Salis –, ringrazio Dio per questo e se dovessi rinascere, vorrei ancora essere un pastore. Non voglio neanche pensare alle conseguenze negative di questa situazione in un momento in cui i giovani a prescindere stanno abbandonando le campagne, sarebbe la condanna delle zone interne allo spopolamento. Immaginiamo la reazione della Spagna e della Francia qualora il Pecorino Romano venisse prodotto con le loro razze, coscienti del fatto che a loro la produzione per via dei costi di allevamento, costerebbe meno. Sarebbe chiara la conclusione che produrrebbero un similare che andrebbe in competizione col prodotto che attualmente tiene in piedi l’economia, decretando la fine del pastoralismo in Sardegna».

Uno scenario insostenibile per gli allevatori, che si troveranno con introiti inferiori ai costi di mantenimento delle aziende. Se si prende in considerazione che il costo dei mangimi negli ultimi anni è quadruplicato, ipotizzare che il prezzo del latte – come già annunciato dagli industriali – crolli, significherebbe ridurre drasticamente il margine di guadagno. Un passo indietro nel tempo che ricorda i primi anni 2000 quando il valore del latte toccò i minimi storici, una triste pagina che nessun allevatore merita di rivivere.

«Nel 2003 il pecorino romano era arrivato a 2,30€ al chilo – riporta il presidente di Coldiretti Nuoro-Ogliastra –, in quegli anni chi allevava Asaaf o Lacaune non era interessato a destinare il loro prodotto a quel mercato. Quando successivamente il pecorino ha acquistato un valore che nessuno si aspettava, il latte ha raggiunto dai 1,80€ ai 2,00€, questo ha dato il via alla corsa a produrre latte e virare sul pecorino. Ci siamo brevemente ritrovati a sforare i 390.000 quintali di produzione rispetto ai 360.000 dell’anno 2022/23 e 320.000 del 20/21. Altra nota negativa è aver abbandonato il Pecorino Sardo, che rappresentava un altro tipo di diversificazione da parte delle cooperative che potevano destinare parte del prodotto a quest’ultimo e il restante al Pecorino, tenendo in piedi due Dop contemporaneamente ed evitando di incorrere nella sovrapproduzione di uno con conseguente perdita di valore».

L’altro grosso ostacolo – ha proseguito Salis – è rappresentato dalle imposizioni dei dazi e la svalutazione del dollaro, «che fanno in partenza perdere al prodotto circa il 25% del suo valore iniziale. Auspichiamo che il governo riesca a intervenire per lo meno sui dazi che gravano sul pecorino romano, perché purtroppo per la svalutazione del dollaro non c’è niente da fare, ed è la moneta effettiva con cui viene acquistato. Bisogna inoltre tenere conto che gli industriali si ritrovano oggi con giacenza di prodotto dovuta dell’incertezza del mercato. Quindi – conclude – questi che dal canto loro devono acquistare il latte, non lo pagheranno mai come nell’anno precedente poiché stando alla situazione attuale, temono una svolta negativa delle vendite e per non andare in perdita sono i primi a fare un passo indietro».