
8 Maggio 2025
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Quello iniziato il sette maggio è uno dei Conclavi più impegnativi degli ultimi secoli. I motivi di tale complessità sono tanti. Innanzitutto si ha a che fare con il Collegio cardinalizio più internazionale di sempre: i porporati elettori provengono da 73 Paesi di tutto il mondo, da Hong Kong alla Mongolia fino alla Nuova Zelanda. Per la prima volta i cardinali europei e italiani sono una minoranza. Sono assenti rappresentanti di storiche sedi cardinalizie come Milano, Venezia e Parigi mentre sono presenti cardinali di Paesi con un numero di fedeli inferiori ad una parrocchia romana.
Molti cardinali, magari nominati da poco, non si conoscono tra loro e si incontrano per la prima volta. Sotto papa Francesco non c’è stata un’occasione per ritrovarsi tutti insieme. Ovvia dunque la fatica del conoscersi, della lingua con cui parlare visto che il latino non è da tempo l’idioma comune. Sono di età diverse, di generazioni, culture diverse che, pur nella comune fede cattolica, hanno parametri differenti nel giudicare il mondo e la stessa Chiesa. Sono lo specchio del mondo contemporaneo sempre più globalizzato e frammentato. Una sorta di Onu dove non c’è un Consiglio di sicurezza con diritto di veto. Per eleggere il Pontefice occorre che due terzi di loro (89) trovino una convergenza sullo stesso nome.
La lettura mediatica del Conclave divide i cardinali in “progressisti” e “conservatori”, “bergogliani devoti” ed “insofferenti”, ecc. Si tratta di raffigurazioni mutuate dalla politica occidentale e di difficile applicazione ad una realtà ecclesiale universale. Quello che in Europa è considerato “progresso” può benissimo essere giudicato come uno scempio in Africa e viceversa. Nel poco affascinante “totopapa” di questi giorni ci si dimentica dell’essenziale. In un Conclave si è chiamati all’unità, ad un punto di incontro tra le differenze anche profonde culturali e ideologiche, storiche e teoriche. Unità che solo nell’amore al Signore si può trovare e sperimentare.
Di mezzo c’è lo Spirito Santo. Nel 1997 a Ratzinger fu posta questa domanda: «È lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione del Papa?». Lui rispose: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto».
Una volta eletto papa con il nome di Benedetto XVI ebbe a precisare: «Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo».