
19 Luglio 2025
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«Si rammentava in paese che zia Mariangela durante gli anni della grande guerra trascorreva giornate intere… davanti alla finestra o accanto al focolare a vergare lettere da spedire al fronte… Le mamme, le sorelle, le spose e le parenti dei militari andavano da lei con la lettera da leggere, con la busta ed il foglio per la risposta».
Oggi per noi tutti è scontato poter comunicare in qualunque momento con persone che si trovano in ogni parte del mondo. Grazie infatti alle nuove tecnologie (a internet, cellulari, smartphone, social network) possiamo parlare, scrivere, condividere immagini e filmati con le persone a noi più care senza limiti spazio-temporali e a costi un tempo impensabili. Ma cosa succedeva durante il periodo delle due Guerre Mondiali? Come facevano le famiglie e i soldati al fronte a comunicare tra loro, a scambiarsi notizie, stati d’animo, necessità, eventi belli e brutti? Il telegrafo e il telefono erano già diffusi, ma non erano presenti in tutte le case, le persone allora utilizzavano le lettere e le cartoline, ma c’era un problema non indifferente, l’analfabetismo molto diffuso, per cui gran parte dalla popolazione non sapeva leggere o scrivere.
Dalle trincee, dalle caserme, dagli ospedali e dai campi di prigionia giungevano alle famiglie lettere scarabocchiate alla meglio da giovani semianalfabeti e da commilitoni scrivani disponibili a riempire con poche righe le cartoline distribuite ai militari oppure piccoli fogli rigati pari a mezzo foglio di quaderno allora in uso nelle scuole. Erano missive recanti scarne notizie sulla salute e su qualche incontro con altri soldati compaesani: nessuna notizia relativa ai luoghi ed alle operazioni: la censura anneriva le righe in modo che nessuno potesse trarre informazioni militari da riutilizzare chissà come.
Alcune di queste lettere una volta giunte a destinazione venivano lette in famiglia, la maggior parte invece passava alle mani del parroco, del medico, di qualche impiegato comunale o come capitava ad Orgosolo alle mani della scrivana dei poveri che per compiere un’opera buona, per carità e per guadagnare meriti per il paradiso leggeva e poi rispondeva secondo i suggerimenti dei familiari ai giovani militari.
Ma chi era la scrivana dei poveri ad Orgosolo? così Serafino Spiggia nel suo libro Orgosolo racconta presenta Zia Mariangela Pisanu: «Era una parente della mamma colei che scriveva ai soldati durante le due guerre mondiali. La ricordo seduta come si sedevano accosciate tutte le donne quando lavoravano, quando allattavano i bambini e quando pregavano…. Vedevo altre donne venire a trovarla con un involucro celato sotto il grembiule; si trattenevano pochi minuti per consegnare due buste una ricevuta a casa, da un parente, con l’indirizzo e un’altra bianca con un foglio, allora, appena più grande di un biglietto da visita…
A quei tempi mamme, sorelle, spose o fidanzate che avevano dei congiunti lontani, soprattutto militari, quando ricevevano una lettera si recavano da Zia Mariangela con la lettera ricevuta dal congiunto, lei la scrivana dei poveri …la leggeva muovendo dolcemente le labbra; l’altra ascoltava attenta. A tratti la interrompeva per chiedere chiarimenti, lei spiegava i particolari, quella annuiva o con sorriso o con espressione di angoscia o con gli occhi che si inumidivano. Lei continuava a leggere, a volte un po’ confusa per l’emozione che suscitava il contenuto, sino alla conclusione».

Erano lettere semplici vergate con grafie incerte da chi aveva poca dimestichezza con la penna e riusciva a malapena a dare un certo ordine alle idee da trasmettere; parevano riprodotte su una linea comune poiché quasi tutte iniziavano così: «Cara madre, cara moglie, cara sorella. Oggi avendo un po’ di tempo vi scrivo due righe per farvi sapere che di salute sto bene e così spero di te, di voi e di tutta la famiglia e del bestiame…».
Non erano tante le persone del paese che sapevano scrivere e comporre una lettera, ad esaltare le buone nuove, a saper dosare nel tempo quelle brutte, a nascondere sotto veli di pietà malattie gravi e decessi di familiari. Era la scrivana la depositaria di tanti segreti, la traduttrice di grafie incerte, di vernacoli mal vergati anche per celare qualcosa che ritenevano urgente o necessario far sapere ai familiari.
Il compito della scrivana non era così semplice come potrebbe sembrare, al contrario richiedeva una grande dose di sensibilità, di discrezione ed empatia, doveva infatti saper addolcire le brutte notizie con invito alla comprensione, invitare al conforto ed alla rassegnazione, nella speranza e nell’attesa che giorni migliori potessero sorgere nell’immediato futuro, con l’augurio di un prossimo armistizio oppure la pace che chiudessero quei brutti capitoli della storia nazionale e delle difficoltà familiari.
Zia Mariangela leggeva il contenuto della lettera più di una volta attenuato dalla sua sensibilità se vi erano notizie non proprio buone, poi in un dialogare sommesso venivano suggerite le notizie che la famiglia voleva comuncare, tra la scrivana ed il familiare si svolgeva un dialogo confidenziale sulle comunicazioni da trasmettere al congiunto. Le lettere in genere erano dirette a militari di leva e ad altri sparsi nei vari fronti della guerra, nei campi di prigionia e negli ospedali.
«La scrivana estraendo penna e calamaio da un cassetto di “sa piatera”, seguendo i suggerimenti delle congiunte del soldato provvedeva a riempire con la sua grafia chiara, piena di una modesta eleganza, i piccoli fogli con tutte le notizie indicate».
Quello di zia Mariangela era un lavoro gratuito e delicato, svolto con una dedizione quasi missionaria, con un impegno che coinvolgeva emozioni di notevole portata. Al momento del ritiro delle lettere venivano lette alla luce del sole o di una lampada, il contenuto veniva approvato, la busta incollata e poi imbucata.
Coloro che la conobbero mai dimenticheranno l’affetto e l’impegno da lei dimostrato anche nei confronti della comunità orgolese.
Peppino Rubanu

