
2 Novembre 2025
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Benedetto Ballero, Dino Giacobbe, Salvatore Cambosu, Sebastiano Satta, Francesca Devoto, Romano Ruju, Raffaello Marchi, Mariangela Maccioni, Salvatore Mannironi, e tanti altri protagonisti della Nuoro che non c’è più, riposano all’interno del nucleo più antico del cimitero di “Sa ‘e Manca”, nell’area retrostante la vecchia cappella e nelle tombe del portico monumentale. Luogo di grandi suggestioni, il cimitero di Nuoro è peraltro luogo d’arte denso di fascino, arricchito com’è da opere di Vincenzo Ierace (l’autore della statua del Redentore realizzò il monumento tombale della famiglia Mura-Floris e il busto marmoreo del canonico Pasquale Lutzu), Giuseppe Sartorio, Federico Fabiani (tomba della famiglia Nieddu-Semidei), Gavino Tilocca, Pietro Longu, Pietro Costa, Francesco Ciusa (suo il bassorilievo in marmo all’interno della cappella Ciusa-Gasole, realizzato per la nipote Piera).
Il cimitero è luogo di pace e di riflessione: passeggiare per i suoi viali significa compiere un percorso nella memoria storica, ripercorrere l’evoluzione secolare della città per cercare di capire il presente e intravedere il poco che si può del nostro futuro. È rituale, quello della visita ai defunti, che assume sempre significati profondi e che si spinge oltre la mera commemorazione. Bisognerebbe andarci anche quando non c’è nessuno, in cimitero, farsi avvolgere dal silenzio e dal ricordo, ascoltare ciò che la quiete e il cinguettio degli uccelli, insieme al frusciare delle foglie simile a un sussurro, come in una immaginaria Spoon River, sono in grado di raccontare. Bisognerebbe forse andarci di nascosto, come suggeriscono queste parole di Salvatore Satta tratte da Il giorno del giudizio: «Sono stato, di nascosto, a visitare il cimitero di Nuoro. Sono arrivato di buon mattino, per non vedere e non essere veduto. […] Mi sembra di essere già nel cimitero dove sono diretto, un cimitero di vivi, certo: ma non sono i vivi che sono venuto a cercare in Sa ‘e Manca, nel camposanto dominato dalla rupe, che sembrava una parca?».
Il ricordo dei parenti, degli amici, di chi si conosceva riacceso dalla visita consente di coltivare la memoria dei singoli e quella di un’intera comunità. Sono noti i punti in comune tra l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e il massimo capolavoro sattiano. Introducendo l’Antologia, da lei tradotta in segreto negli anni del fascismo, sul messaggio veicolato dalla raccolta poetica in versi liberi di Lee Masters, Fernanda Pivano osserva come il fatto che i singoli quadri che compongono l’opera si riferiscano a uomini morti invece che a uomini vivi «non è che l’estrema conseguenza della disintegrazione della realtà fisica nel tempo. L’elemento connettivo non è più la realtà di uno svolgimento successivo di stati fisici o psichici derivati necessariamente o razionalmente l’uno dall’altro, ma è la dimensione unica della memoria». Sia pure attraverso modalità espressive differenti, entrambi gli autori manifestano una accomunante consapevolezza: Spoon River e il camposanto di Sa ‘e Manca, come tutti i cimiteri, celano i segreti e le verità dell’esistenza delle persone che vi riposano. Per altri versi, nella poetica dell’uno e in quella dell’altro, la morte non rappresenta la fine assoluta, ma costituisce un’occasione per riconsiderare e far trasparire le vite vissute.

