
21 Gennaio 2025
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Nel lontano 1995, l’allora direttore de L’Ortobene, Salvatore Bussu pubblicò un libro dal titolo “La scuola nella Costituzione. A quando la parità scolastica?”. Si tratta della rielaborazione della sua tesi di laurea in Giurisprudenza a Sassari e non a caso la presentazione venne scritta da Francesco Cossiga che la giudicò “brillante”. La libertà d’educazione è un tema ricorrente nella dottrina sociale della Chiesa e nella storia del nostro settimanale ci sono stati molti interventi a tal proposito. Debbo dire di gran pregio, sia a favore che contro. Il mondo cattolico era particolarmente attento su questo punto ma è accaduto ed accade che siano altri a dare un compimento alle nostre giustissime aspettative. Ricordo, ad esempio, che la revisione del Concordato venne attuata sotto il governo Craxi. Fu durante il governo D’Alema bis che veniva approvata la legge 62/2000 con le “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”. La legge definiva i requisiti per il riconoscimento delle scuole paritarie, gestite dagli enti locali o da soggetti privati, e la loro funzione pubblica. Non più quindi istituti pubblici (cioè statali, con una accezione che tende a confondere i due termini) da una parte, e privati, dall’altra, ma un unico sistema nazionale di istruzione pubblica (cioè di tutti) a cui contribuiscono scuole statali e paritarie. Per svariati motivi, ideologici, sindacali, corporativi, politici, quella legge è rimasta per gran parte disattesa.
Il saggio di Salvatore Bussu verte sul come e nato ed in che modo attuare l’art. 30 della Carta costituzionale che assegna ai genitori e non allo Stato il “dovere e diritto” di educare ed istruire i propri figli.
Sul versante economico, Bussu (era stato insegnante alle scuole superiori, storico cappellano di Badu ’e Carros e tante altre cose) prevedeva che la soluzione più semplice e democratica fosse il buono-scuola, ossia l’assegnazione di titoli di credito (pari alla spesa stanziata per ogni studente nel bilancio dello Stato) che poi le famiglie consegneranno alla scuola statale o paritaria cui iscrivono i loro figli. Una soluzione equa visto che chi sceglie la scuola paritaria non statale paga due volte: la prima allo Stato tramite le tasse e la seconda all’ente gestore tramite la retta. Altra ipotesi, più complessa e meno equa, era quella di fare una detrazione d’imposta, pari al costo medio di un alunno, per chi sceglie la paritaria non statale. Ovvio che non stiamo parlando di diplomifici (che andrebbero chiusi).
Don Salvatore Bussu, lo scrivo, infine, con questo adeguato titolo perché prima di tutto era un prete, credeva nella democrazia e nel dare opportunità a tutti, carcerati compresi (è stato il famoso cappellano dei terroristi). Da quello che scriveva si capiscono i giorni nostri: non il monopolio ma il principio di concorrenza garantisce una migliore qualità dell’offerta di qualsiasi prodotto o servizio. Perciò conviene, nei limiti del possibile, introdurre il principio di concorrenza e sussidietà anche nell’amministrazione dello Stato e degli altri enti di governo.
Allo Stato oltre che di fissare e di governare gli stanziamenti per l’istruzione, resterebbero in capo la definizione dei livelli di conoscenza che devono via via venire raggiunti nei vari ordini e gradi di scuola, l’abilitazione degli insegnanti, il controllo dei requisiti delle strutture educative e la qualità dell’insegnamento. La denatalità sta portando alla chiusura di molte scuole (specie dell’infanzia) statali e paritarie per l’insostenibilità dei costi e la scarsità di utenti.