Province: al ridicolo non c’è mai fine
di Francesco Mariani

30 Gennaio 2025

3' di lettura

Per la tragicomica vicenda delle Province isolane si avvicina la fatidica data del 30 aprile. Entro tale giorno si dovranno tenere le elezioni di secondo livello (ossia riservate ai consigli comunali) degli organi provinciali e delle Città metropolitane che dovranno sostituire gli attuali commissari straordinari. 

Un tempo le province sarde erano tre Cagliari, Sassari, Nuoro. Nel 1974 fu aggiunta Oristano. Con la nascita, dopo Cagliari, di un’altra Città metropolitana (Sassari), vengono resuscitate la circoscrizione territoriale della Provincia del Nord-Est Sardegna, con capoluogo nei Comuni di Olbia e Tempio; quella Ogliastra con capoluogo nei Comuni di Tortolì e Lanusei, quella del Sulcis Iglesiente, con capoluogo nei Comuni di Carbonia e Iglesias e quella del Medio Campidano, con capoluogo nei Comuni di Sanluri e Villacidro. In tutto otto enti provinciali per un totale di dodici capoluoghi. Una provincia con due capoluoghi, che non si sopportano a vicenda, e quindi con due sedi, quella della giunta e quella del consiglio, separate. Al ridicolo non c’è limite. 

Il fatto è che anche stavolta i nuovi enti resteranno scatole vuote. La Prefettura, la Questura, la Camera di commercio, i comandi dei Vigili del fuoco, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, la Direzione provinciale del lavoro, l’Agenzia delle dogane, del demanio, le sedi provinciali dell’Inps e dell’Inail resteranno dove sono. La Regione Sardegna, al di là dei colori politici di chi la guida, ha assunto aspetti taumaturgici: moltiplica province, Asl, unioni dei comuni, comunità montane, consorzi, enti, organici dello staff della presidenza e della giunta, con annessi direttori generali, amministrativi ecc… 

Il paradosso lo vede anche un cieco: la popolazione isolana è drammaticamente in calo, lo spopolamento impera, i redditi languono ma si continua imperterriti nel creare enti, agenzie, incarichi ultra retribuiti per i fortunati del cerchio magico. Da un lato assistiamo all’accorpamento di Diocesi e parrocchie, dall’altro moltiplichiamo province che hanno la dimensione di un quartiere romano. Si dirà che da noi occorre tenere presente la conformazione geografica e le distanze tra i centri abitati. Verissimo, ma se per foraggiare la macchina regionale e amministrativa si spende l’ira di Dio poi non ci sono soldi per migliorare i collegamenti stradali e i trasporti. Si dirà che le parrocchie si accorpano per mancanza di preti, ed è una parte di verità. Totalmente vero è invece che in Sardegna non si trovano operai specializzati ma ci sono, o meglio si inventano, tantissimi specialisti da arruolare nelle pubbliche amministrazioni, negli enti e nelle agenzie di mamma Regione.

Diminuiscono gli abitanti ma aumentano i numeri degli addetti o connessi col pubblico impiego. Facile dare le colpe di tutto, siccità compresa, allo Stato: il virus tumorale va ricercato nel nostro modo di governare e fare politica, nei nostri campanilismi, nella mentalità clientelare, nell’incapacità di programmare e fare squadra. 

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--