
6 Ottobre 2025
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Sono passate ormai settimane dall’omicidio di Cinzia Pinna la trentatreenne di Castelsardo, di cui nella notte tra l’11 e il 12 settembre si erano perse le tracce.
Il delitto che da giorni occupa le pagine di cronaca nera inadeguatamente, non parla però di Cinzia.
Il femminicidio è ormai un fenomeno conclamato che rischia di essere legittimato dalla sua stessa ripetitività.
Le manifestazioni che chiedono di “fare silenzio” o “fare rumore”, scarpette rosse e fiocchi, le giornate dedicate alla violenza di genere, rischiano di generare due evoluzioni parallele. La prima, insegue l’obbiettivo di scuotere le coscienze e ricordare le vittime, ma dall’altra parte diventano “ricorrenze”. I femminicidi sono ormai infatti una ricorrenza, una lista infinita di nomi, un numero, un titolo di giornale che annuncia l’ennesima donna eliminata, ancora una voce spezzata, ancora e ancora…
Sono state tante negli ultimi giorni le parole sprecate per raccontare l’ultima triste vicenda, una delle tante, né la prima né l’ultima lo sappiamo, come conoscevamo già tutti la fine della storia. Quando una donna scompare non solo sappiamo che verrà ritrovata senza vita, ma pensiamo ormai naturalmente a “lui”. Marito, compagno, vicino di casa, collega, ex o sconosciuto, è sempre un lui e non ci stupiamo nemmeno più, perché involontariamente abbiamo normalizzato questa consapevolezza.
Non importano le diverse dinamiche con cui questi omicidi si consumano, poiché l’addendo comune è sempre l’abuso di potere. Vittime di abusi psicologici e fisici, da parte di uomini tronfi del ruolo datogli da una società sbilanciata, da un’educazione che non impartisce il rispetto, l’accettazione del rifiuto, e che insicuri, frustrati e violenti credono di poter far dipendere da loro la vita di un altro essere umano. È ridicolo il numero delle testate giornalistiche che hanno permesso all’abuso di potere di continuare nella vita di una donna che vita non ha più.
Una donna crudelmente uccisa e gettata come immondizia diventa una comparsa, grazie al ruolo marginale che chi ha la possibilità di raccontare la sua storia le sta attribuendo.
Vittima due volte: di colui che l’ha arbitrariamente strappata al suo domani e di una narrazione offensiva e svilente che mette in risalto il suo carnefice, perdendosi a parlare dei suoi possedimenti e profitti, lasciandola nell’ombra, come se non fosse mai esistita. Non abbastanza rilevante oppure, semplicemente, “un’altra”. Imprenditore, impiegato, studente o operaio non conta che ruolo nella società ricoprissero, dopo aver tolto la vita a una donna, sono tutti degli assassini.
La storia di Cinzia si è conclusa, ma continua la battaglia di tutte le donne che ogni giorno lottano tra le mura domestiche o per le strade, in cerca di una mano invisibile che le salvi dalla trappola che le circonda. La cronaca ci insegna che se una donna denuncia degli abusi, la giustizia – spesso – non è in grado di proteggerla, quindi per non scatenare ulteriore violenza subisce in silenzio nella speranza di un cambiamento che non avverrà. Una spirale che sembra non trovare conclusione se non quella che tutti ci aspettiamo. La speranza che questo continuo bagno di sangue cessi, viene riposta nelle future generazioni educate da donne e uomini consapevoli.
Fa rabbrividire pensare a quante volte Cinzia abbia sentito parlare di femminicidi e letto notizie in merito, ma adesso quegli stessi titoli portano il suo nome. Quante donne che in queste ore stanno sentendo parlare di Cinzia, ignorano di essere le prossime? Quante lo sanno? Quante lo temono? Quante ancora?