Dalle tenebre alla luce
Commento al Vangelo di domenica 14 settembre 2025 - Esaltazione della Santa Croce
di Federico Bandinu
Henry Ossawa Tanner, Gesù e Nicodemo (1899), Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia
4' di lettura
16 Settembre 2025

La prima parte del capitolo terzo del Vangelo di Giovanni è dedicato al colloquio tra Gesù e Nicodemo «uno dei capi dei Giudei» (Gv 3,1). La pericope evangelica rappresenta il cuore di questo colloquio. Cercando di contestualizzare maggiormente potremo sottolineare che Nicodemo, uomo affermato e colto, si scopre affamato e ignorante. Potrebbe non aver avuto paura, nonostante la sua influenza e popolarità, riconoscendosi nella notte della crisi; oppure si vergogna di incontrare la sconvolgente novità, che è Gesù, se non nel nascondimento della notte. In entrambi i casi il Signore non si scandalizza; ma accoglie, si ferma e dialoga con lui. L’evangelista Giovanni tende spesso a sottolineare la dinamica che dal buio, del peccato e dell’indifferenza, porta alla Luce, della guarigione e della fede. È la logica dell’incarnazione e della redenzione: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Le parole di Gesù, ma in generale l’intera comprensione del Vangelo, vive tra questi due momenti. L’intera scrittura trova compimento in Gesù Cristo, Luce delle Genti (LG 1), che venne nel mondo discendendo a noi dal Padre Celeste e che poi è stato innalzato sulla croce per ottenerci salvezza. La profezia che Gesù ci consegna, in questa brevissima pagina evangelica, ci raggiunge, come Nicodemo, nella notte dei dubbi e delle incertezze, nel buio della sofferenza e dell’indifferenza, nella cecità della mancanza di fiducia e di speranza. 

Ma come potremo trovare luce in un mondo tanto buio? Le guerre e la cronaca spengono, in noi, il braciere della speranza e i torti ricevuti e quelli che non riusciamo a perdonarci coprono le stelle ammirabili nel fiducioso sguardo verso l’alto. Viene ripreso da Gesù un riferimento veterotestamentario: Mosè ed il serpente di bronzo (Nm 21,4-9). Il popolo di Israele, che si trovava nel buio della disperazione e della mancanza di speranza, è chiamato da Dio a volgere lo sguardo verso l’alto verso un serpente in bronzo che poteva salvarli. Non sembri strano che nella sua somma sapienza Dio prefiguri il sacrificio della Croce con il serpente bronzeo simbolo del peccato (Gn 3,14). «Fu dunque crocifisso il mondo nelle sue lusinghe, e per questo motivo non un vero serpente, ma un serpente di bronzo fu levato in alto, poiché il Signore prese l’aspetto del peccatore nella realtà del corpo umano, è vero, ma senza la realtà del peccato, in modo che attraverso la fragilità della debolezza umana, fingendo di essere il serpente, deposte le spoglie della carne, distruggesse l’astuzia del vero serpente» (Ambrogio). Il serpente maledetto della genesi è sostituito da colui che si è fatto maledizione per redimere noi peccatori destinatari di quella maledizione. Afferma san Paolo: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito» (Gal 3,13-14). Su Cristo appeso alla Croce è scesa la maledizione (Dt 21,22-23) ed è stata distrutta quella che, a causa del serpente antico, pesava sull’uomo. Ad ognuno, immerso nella sua notte, sollevare lo sguardo verso Cristo Crocefisso: dono d’Amore di Dio. «Nessun padre ha mai avuto tanto amore per il proprio figlio, quanto Dio ne ha avuto per questi suoi servi ingrati» (Giovanni Crisostomo). A noi, servi inutili, credere che Egli è venuto nel mondo e ha offerto la sua vita perché potessimo trovare la luce della salvezza; quella Vera.


  • Ascolta il Podcast

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--