Gridare aiuto, rendere grazie
Commento al Vangelo di domenica 12 ottobre 2025 - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
di Federico Bandinu
Gebhard Fugel, Cristo e i lebbrosi (1920 ca)
4' di lettura
11 Ottobre 2025

Inizia in questo brano il cammino che, per l’ultima volta, condurrà Gesù a Gerusalemme, verso il calvario e il giardino postogli accanto. Sin dall’inizio del suo peregrinare indica, in modo figurato, il motivo del Suo viaggio sacrificale a Gerusalemme: guarigione e salvezza. Il cammino è lungo e attraversa i territori più diversi: Galilea, luogo di pluralità e diversità; Samaria, terra degli eretici e dei nemici; Giudea, casa dei ferventi e dotti del popolo di Israele. Tutti, vicini e lontani, sono interessati dalla missione del Messia. Un gruppo di lebbrosi, costretti a causa della malattia a stare fuori dalla città, lo chiamano e invocano: «Gesù Maestro, abbi pietà di noi». Riconoscersi malati è il primo passo per poter camminare insieme a Gesù riconoscendolo presente nella quotidianità. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mc 2,17). I dieci lebbrosi non hanno paura di “disturbare” il maestro e chiedono aiuto. L’individualismo e l’efficientismo della nostra società ci portano a temere il limite; eppure è lì che Gesù attende l’uomo. Non è un caso che alla porta della città avvenga l’incontro. Nella soglia tra l’identità e l’alterità si scopre una relazione capace di cose nuove. Gesù ha uno sguardo per loro. 

La malattia non è un ostacolo per la Grazia ma l’occasione per lasciarsi salvare. «La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità» (Papa Francesco). Il limite è abitabile solo nella misura in cui si accosta a Cristo che ha uno sguardo e una parola per ciascuno. Il limite non è semplicemente quello fisico, le lebbre dell’uomo sono molteplici e le più grandi sono covate nel cuore dell’uomo. L’uomo vero è quello che sa scoprire la sua lebbra e non teme di gridare aiuto a Gesù che guarda e ci invia. 

Nella strada i dieci lebbrosi sono purificati. Hanno obbedito (prestato fede) al comando del Maestro e presentandosi ai sacerdoti sono reintegrati nella società. Il racconto potrebbe finire così: tutti sono guariti. Un samaritano torna, grato, verso il Datore del dono della guarigione. È capace di fare eucarestia (Rendere Grazie). Solo allora viene salvato. La vera salvezza non è essere liberi dalla lebbra ma alzarsi (risorgere) e camminare (vivere) con la consapevolezza di essere destinatario di un dono non dovuto, gratuito e immenso di Dio. 

Oggi aspettiamo miracoli sensazionalistici non essendo capaci di riconoscere il miracolo della vita, la prodigiosa forza della natura e del cosmo, l’imprevedibile grandezza dell’animo e del pensiero umano. Tutto è scontato in un mondo che non sa più fermarsi e stupirsi; tutto è dovuto per chi si sente il centro del mondo. Attraverso la sua provvidenza, a tutti, il Signore offre la Sua guarigione ma pochi hanno l’ardire di mettersi in gioco e ancora meno hanno la gratitudine di riconoscere ciò che si è ricevuto come dono. Non ci sorprenda allora che le nostre assemblee nelle celebrazioni eucaristiche sono sempre più ridotte; non vogliamo riconoscere il nostro limite, non siamo disposti a chiedere umilmente aiuto, non abbiamo l’accortezza di considerare tutto come un dono di cui rendere grazie. Questo significa essere discepoli di Cristo: riconoscersi bisognosi e insieme destinatari di una molteplicità di doni. 

La Vergine delle Grazie conceda di comprendere che la Grazia più grande da accogliere è Cristo che supera ogni grazia da lui concessa.


  • Ascolta il podcast

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--