L’intenzione del cuore
Commento al Vangelo di domenica 2 marzo 2025 - VIII Domenica del Tempo ordinario - Anno C
di Federico Bandinu
Domenico Fetti, La parabola della pagliuzza e della trave (1619 ca) Metropolitan Museum of Art, New York
4' di lettura
1 Marzo 2025

Il Vangelo di questa domenica si mette in continuità con i brani evangelici delle scorse settimane. Il sesto capitolo del Vangelo di Luca, attraverso l’insegnamento di Gesù, vuole raggiungere l’animo del cristiano per prepararsi ad una vita vera in compagnia del Maestro. 

Il brano utilizza principalmente due similitudini: la vista (con il cieco e la pagliuzza) e il raccogliere (frutto e tesoro). Come già evidenziato in tutto il capitolo sesto la vista è un senso importante, tramite il suo buon funzionamento l’uomo è reso capace di uno sguardo sapiente, che segua le direttive di quello divino. Il raccogliere è un atteggiamento propriamente divino: è capace di farlo chi sa di abbassarsi verso terra; chi, come il Signore, è capace di scendere dalla propria condizione per tendere la mano verso il lontano da sé. 

Entrambi sono gesti di apertura ma hanno bisogno di una previa consapevolezza interna. Il cieco – ci dice la pagina biblica – non può guidare un altro ceco. È come quei ragazzi che cercando di dare insegnamenti di vita ai propri coetanei rischiano di fare danni irreparabili e sciocchezze proprie di chi non è capace di chiedere aiuto a chi ha uno sguardo più adulto. Secondo i profeti è «maledetto chi confida nell’uomo» (Ger 17,5). In Dio troviamo lo sguardo completo e sapiente che orienta il nostro cammino terreno. 

Il secondo esempio usato da Gesù è forse il più famoso. Attraverso questo versetto i cristiani vengono, spesso, accusati di ipocrisia dal mondo quando questo non riconosce nei seguaci di Cristo delle vite che gli corrispondano. La trave, di cui tutti ci dobbiamo liberare, ci presenta la nostra condizione fragile e poco oggettiva. Spesso quando ci mettiamo davanti a una situazione o una persona per fare delle considerazioni critiche ci consideriamo «misura di tutte le cose» (Protagora). In realtà siamo esseri fragili e, tolte le corazze che ci proteggono dal mondo esterno, lo riconosciamo anche con una certa angoscia. La vicinanza con il Signore, morto e risorto per noi, ci aiuta a prendere consapevolezza della nostra condizione ma anche di amarci e farci amare così come siamo. 

Il Vangelo parla degli ipocriti, ossia falsi e doppi. Quando non consideriamo la fragilità come facente parte della nostra natura umana, siamo nella condizione di chi è incapace di verità sugli altri e su sé stesso. Essere umani è riconoscere che non bastiamo a noi stessi, che non possiamo limitarci ad un orizzonte terreno, che abbiamo sempre bisogno di conversione e di essere amati e coccolati con tenerezza. Abbiamo bisogno, come dice il Vangelo, di raccogliere dall’albero i frutti buoni. Si presenta la necessità di lasciarci modellare dal giardiniere (simbolo del Risorto) che, con il suo amore, trasformi l’arbusto selvatico della nostra vita in un albero rigoglioso che porta frutto. Il frutto è testimonianza della bontà di Dio per l’uomo che, nonostante fragile, è capace – con Dio – di frutti meravigliosi. Nel cuore è possibile fare Verità, riconoscere e riconoscersi. In esso sono espresse senza ipocrisia e doppiezza le intenzioni che muovono il nostro agire. Scrive San Beda: «Il tesoro del cuore è l’intenzione del cuore, dalla quale il giudice interiore valuta il provento dell’opera buona. […] Ciò il testo spiega subito dopo affermando chiaramente che le buone parole non giovano senza la testimonianza delle opere». Il cristiano è dunque chiamato non solo a gioire per le belle parole del Maestro ma a-cordare la propria vita al Suo insegnamento e alla sua Vita.

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