«Oggi è nato per noi il Salvatore»
Commento al Vangelo del 25 dicembre (Messa della Notte) Natale del Signore - Anno C
di Federico Bandinu
Pieter Bruegel II, Censimento di Betlemme (1610), Musei reali delle belle arti, Bruxelles
4' di lettura
23 Dicembre 2024

«Oggi è nato per noi il Salvatore». La Parola di Dio della notte di Natale annuncia al mondo una grande gioia: Dio si è fatto uomo, la grandezza è piccolezza, l’eternità è bisognosa di cure, la forza è fragilità. Non è una poesia, non è come quegli slogan rivoluzionari che urlano al sovvertimento della realtà e poi, temendola, non fanno niente per e in essa. Dio interviene nella Storia. La pericope lucana della nascita di Gesù riporta, attraverso l’evento del censimento, dei dati spaziali e temporali non tanto per fare una lezione di storia o geografia ma per affermare che Dio si è fatto uomo davvero! Dove? «A Betlemme». Quando? «Quando Quirino era governatore della Siria». Dio, a cui abbiamo teso tutto l’Avvento, è nato in Gesù. Il Vangelo di Giovanni direbbe: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Tuttavia è necessario fuggire la tentazione di leggere i brani biblici come articoli di giornale cronachistici. Oggi è detto a noi che la Parola si fa carne. Sì, oggi, in chi ascolta la Parola e a chi come i pastori accoglie l’annuncio di gioia e di luce della nascita del Salvatore. Quell’oggi racconta della tua vita «come le braccia dei pastori ricevono un dono», direbbe Papa Francesco. 

Per accogliere un dono bisogna fare spazio. Non è scontato in un tempo in cui con un clic abbiamo a casa tutto ciò di cui necessitiamo. Stando fermi in casa riusciamo ad essere autosufficienti e autonomi. Questo è raccontato, in questa pagina evangelica, nella differenza tra due personaggi. I primi sono fermi: gli albergatori. Forse non hanno accolto Maria e Giuseppe, non per cattiveria, ma semplicemente perché non avevano posto, né alloggio. Non c’è spazio per la novità sconvolgente del Vangelo, non c’è spazio per la Gioia, non c’è tempo per un incontro. Insomma in poche parole non permettiamo che avvenga, come avvenuto nelle coordinate temporali evidenziate in precedenza, che Dio incontri la nostra umanità, che invece comoda e accomodata si accontenta e subisce la vita. 

I secondi sono in movimento, sono poveri, umili, semplici: i pastori. Essi hanno la virtù dell’ascolto e dell’attesa. Il pastore riconosce la terra perché la abita in profondità. Essi, che nella mentalità ebraica sono emarginati, sono i primi a ricevere l’annuncio; quasi a dire: «sono venuto per tutti ma soprattutto per te e per le tue povertà». Essi sono nomadi, non vivono nelle case. «L’uomo è pellegrino in questo mondo», ci dice Agostino. Possiamo accontentarci del fuocherello del nostro piccolo caminetto oppure immergerci nel fuoco immenso dell’amore di Dio che vince la freddezza del peccato e dell’indifferenza. Gesù non si impone. Ci lascia liberi, non ci ammonisce: siate pastori, non siate albergatori! Arriva nel silenzio di una mangiatoia, già a presagire che si farà ostia, sacrificio, cibo per noi. Noi possiamo accogliere il dono grande che Dio ci fa ed esserne felici. 

L’incarnazione, come viene chiamato il mistero del Natale del Signore, è il momento (arrivando fino alla Pasqua) più alto della storia dell’uomo perché a partire da questo momento tutto riceve senso. Dice il Concilio: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS 22). Noi siamo veramente uomini se oggi apriamo le braccia al piccolo-immenso dono che Dio ci fa. Allora saremo capaci, come i Pastori, di far sì che la nostra vita sia un canto di lode e ringraziamento perché Dio è sceso in mezzo a noi e ci ha resi come Lui.


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