Rimanere in Lui
Commento al Vangelo di domenica 28 aprile 2024 - V Domenica di Pasqua - Anno B
di Andrea Biancu
(photo by Aurelio Candido)
3' di lettura
27 Aprile 2024

Dopo l’immagine del buon pastore, la liturgia del tempo pasquale in questa domenica ci consegna quella della vigna, anch’essa presente nell’Antico Testamento. Il riferimento evangelico lo troviamo nel testo di Giovanni, al centro del lungo discorso di Gesù durante l’ultima cena, quando prese il calice “colmo del frutto della vite” (Preghiera Eucaristica della Riconciliazione I).

Gesù dice che il Padre è l’agricoltore: è Lui che custodisce, perfeziona, fa fruttificare. Dentro l’animo dell’agricoltore c’è la paziente attesa: sa quando e come deve intervenire, conosce i tempi giusti e le modalità migliori per ottenere un buon risultato, come ricorda anche l’apostolo Giacomo nella sua lettera («Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge» (Gc 5,7).

Ci sono due verbi che descrivono l’azione dell’agricoltore: “tagliare” e “potare”. Di tagli nella vita ne riceviamo tanti, ma alcuni sono potature (il verbo originale nel vangelo è “purificare”). Sono quelle situazioni in cui accadono dei cambiamenti che non abbiamo previsto e per questo si fatica ad accettarli, anche se inesorabilmente ci segnano in profondità. Il problema non è vivere questi tagli ma vedere quale frutto hanno portato. Se ci hanno devastato interiormente, lasciando dentro di noi solo amarezza e risentimento, allora ciò significa che la nostra esistenza faticava a produrre un buon frutto. Se invece quel taglio, seppur doloroso, ha tirato fuori linfa ed energia nuova, allora quella potatura ha permesso di migliorarci e di superare ciò che ostacolava una vera crescita d’animo.

In questi pochi versetti notiamo che Gesù ripete per sette volte il termine “rimanere”: per l’evangelista Giovanni è uno dei verbi essenziali per descrivere il rapporto tra Gesù e i discepoli, proprio nel momento in cui lo stanno per abbandonare prima della passione. Questa espressione sottolinea un bisogno reciproco: c’è il rimanere di Gesù in noi e il nostro rimanere in Lui. Come è possibile che Dio rimanga in noi? Possiamo pensare che Dio condizioni la nostra vita quando non siamo noi a scegliere. Dio è in ognuno di noi non come padrone dell’esistenza ma come “linfa”: la scelta sarà sempre nostra, ma se riconosciamo dentro di noi la linfa della grazia, la parola che ci indica la strada e la luce che rischiara le nostre notti, allora avremo la certezza di “rimanere in Lui”. Considerando questo termine possiamo correre il rischio di fargli assumere una connotazione negativa che richiama all’immobilismo: il “rimanere” evangelico non consiste nel permanere sempre nella stessa idea, nella medesima realtà e non modificarla, perché ci dà sicurezza pensare in quel modo e vivere agendo di conseguenza. Accanto al “rimanere” c’è il dinamismo dei verbi “tagliare”, “potare”, “raccogliere” che evidenzia l’azione di Dio in noi. Per conservare una relazione occorre continuamente rinnovarsi, adattarsi, lasciarsi plasmare e perdere qualcosa: ne va della vitalità della vite e del frutto che può dare.


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