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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Questa espressione latina è tratta dal libro I delle Georgiche, poema didascalico di Virgilio (70 – 19 a. C.), che tratta di modi, tempi, attività e tradizioni legati all’agricoltura, ed esprime il concetto di duro lavoro, quindi dell’impegno, della fatica, e del sacrificio; tutti ingredienti fondamentali per ottenere qualsiasi risultato. Il termine labor, deriva da una radice indoeuropea che rimanda all’idea di “acquisire qualcosa con fatica“. Ad essa si riconducono anche il sanscrito rabh, “afferro”, il greco lambano, “prendo” e il tedesco Arbeit, “lavoro”.
Hanno trattato questo tema, in modi e con significati diversi, anche Esiodo nelle Opere e giorni ed il tragediografo greco Eschilo nel Prometeo incatenato.
La teodicea del lavoro
Virgilio rappresenta nelle Georgiche una teodicea del lavoro: rivisitando il modello esiodeo esalta il labor, interpretandolo come possibilità per l’uomo di valersi dei propri talenti e contribuire a ricreare il mondo. Virgilio dimostra che le fatiche date dal lavoro sono state volute da una divinità benefica così da favorire il progresso umano, il quale richiede impegno da parte degli individui al fine di domare la natura a proprio interesse. Questo percorso non è tuttavia privo di ostacoli: calamità naturali, eventi atmosferici devastanti ed erbe infestanti potrebbero vanificare in un colpo la fatica dell’uomo. Situazioni che, scrive Virgilio, non sarebbero potute verificarsi prima dell’avvento di Giove, quando, nella cosiddetta età dell’oro, la terra spontaneamente e generosamente offriva all’uomo abbondante nutrimento.
A seguito dell’atto di Giove di nascondere all’uomo i mezzi di sostentamento, gli uomini sono stati costretti a faticare per procurarsi il necessario al fine della sopravvivenza. Non possiamo non fare riferimento all’etica del dovere stoica che incarna perfettamente il messaggio che Virgilio vuole veicolare: grazie al sacrificio nel lavoro e al dovere retto, l’uomo vive in perfetta armonia con il mondo solo grazie all’adempimento dei propri doveri secondo l’ordine razionale, naturale che alimenta il mondo e quindi in una condizione atarassica che lo rende libero dalle catene dei vizi. Per il poeta, il lavoro non è inteso come una disgrazia ma come premio perché gli uomini devono evitare gli inganni, la superbia e gli atti violenti e vivere lavorando onestamente e rispettando la natura. Il lavoro è quindi un premio che conferisce un senso alla vita dell’uomo, segna l’intervento della provvidenza divina nella storia dell’uomo al fine di riscattare l’umanità dalla condizione di inerzia e torpore nella quale si trovava inconsciamente intrappolata durante l’Età dell’oro.
L’operosità umana e la capacità di affrontare le difficoltà sono, dal poeta romano, valutate positivamente e, nonostante da un lato il labor implichi fatiche e dolori, dall’altro è capace di vincere ogni cosa e colmare le mancanze e le lacune che spingono l’uomo alla ricerca e alla conquista.
Il lavoro, con i suoi continui affanni, acuisce l’ingegno umano divenendo opportunità di maturazione intellettuale e di spinta alla scoperta tecnologica e, mediante esso, l’uomo può affinare le proprie capacità tecniche e sviluppare le varie artes, cifre fondamentali del progresso umano, permettendogli di poter esplorare a pieno le proprie capacità e quindi la chiave per un’esistenza appagante. Solo attraverso il lavoro l’uomo può realizzarsi completamente. Eppure l’espressione labor omnia vincit potrebbe prestarsi anche ad un’altra interpretazione. Si potrebbe infatti considerare illuso l’eroe contadino perché tale è colui che tenta di piegare al suo volere forze e realtà che necessariamente non possono essere sopraffatte, come la natura: essa è ostile, poiché rende il labor improbus, cioè cattivo, sconveniente, detestabile, addirittura “ingiusto” (definizioni tratte dal vocabolario della lingua latina Castiglioni-Mariotti). La traduzione “tutto vince il faticoso lavoro” in un certo senso travisa il vero significato di fondo, alquanto pessimistico, che Virgilio voleva regalarci.
Ai giorni nostri, per “lavoro” si intende “qualsiasi esplicazione di energia volta a un fine determinato”, e lo utilizziamo spesso e volentieri come sinonimo di “mestiere”, qualcosa che dobbiamo necessariamente eseguire, una sorta di obbligo. Eppure il termine labor vuol dire anche caduta, inganno, fatica, pena, dolore, malattia. Dato che il nostro fine, dalla nascita, è quello di vivere, risulta che per vivere bene, o almeno secondo natura, è necessario cadere, soffrire. Si parla addirittura di ingannarsi, cioè di essere illusi, di credere di avere qualcosa che in realtà non si ha. Sembra quasi che parte integrante della vita sia soffrire, e che esso sia obbligatorio, necessario. Se poi accostiamo a labor il termine improbus, otteniamo che questo sacrificio, questo ingannarsi e penare nella vita, è totalmente sconveniente nonché eccessivo, poiché è questo l’ordine delle cose, è il nostro destino. «Tutto vince il faticoso lavoro» può quindi essere letta quindi come un’esortazione a comprendere la nostra realtà, il faticoso lavoro che è la vita, che è sofferenza, e noi possiamo soltanto viverla. La sofferenza è data dalla natura matrigna per l’uomo: ne è esempio il contadino che non può far altro che guardare il suo campo coltivato con tanto impegno e sacrificio (labor) venire distrutto dalla natura, quasi a dire come il labor esso sia inutile e sconveniente.
Forse voleva soltanto far decidere noi. Voleva dirci che si può rinunciare e si può combattere, la scelta è nostra.
Il dono del titano
Eschilo conferisce al labor un’accezione positiva nella sua opera Prometeo incatenato nella quale esalta l’azione di Prometeo come benefattore del genere umano. Con il dono del fuoco il titano aveva infatti offerto all’uomo la coscienza di sé e la sapienza sotto forma di varie discipline come l’agricoltura, l’allevamento, la medicina e l’arte divinatoria. Ecco quindi il passaggio dell’uomo da uno stato di primitiva selvatichezza, dato dall’ignoranza e dall’inconsapevolezza umana, a una più marcata evoluzione. Mediante il dono della sapienza, l’uomo si eleva da uno stato di minorità a uno di emancipazione. Il lavoro garantisce all’essere umano il soddisfacimento dei propri bisogni e la propria sussistenza: senza questo non vi sarebbe vita. È grazie al lavoro, infatti, che l’uomo si è evoluto, aumentando i propri sforzi di pari passo alle proprie necessità, che con il tempo si sono moltiplicate.
Passione e dignità
Eschilo definisce gli uomini “nuovi dei”, poiché autori delle nuove creazioni, delle nuove tecniche, e ne esalta così la grandezza. Allo stesso modo il tragediografo Sofocle, nell’Antigone, elenca le molteplici abilità dell’uomo, che gli permettono di guardare al futuro e di progredire nonostante il limite con il quale deve necessariamente scontrarsi: la morte. Sofocle introduce poi un concetto molto importante: la possibilità dell’uomo di orientare la propria abilità verso il bene o verso il male. Quando si accorda con le leggi della sua terra e con la giustizia degli dei egli siede in alto nella città. Quando invece si macchia di azioni malvagie, di sfrontata audacia, e tracotanza, deve essere escluso dalla comunità.
Il significato simbolico che il termine labor vuole esprimere sembra non invecchiare mai poiché il duro lavoro e l’impegno sono necessari all’uomo per poter dare un senso alla propria vita, rendendolo libero e indipendente. Labor sive libertas. Tanto tempo fa, un grande pensatore orientale predicava «scegli un lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno della tua vita». Lavorare con passione. La passione può avere mille forme diverse ma il suo scopo è sempre uguale: farci sentire vivi. Se lavoriamo con passione faremo della passione un lavoro. E la vita è fatta di passioni: solo se la si concepisce come un armonioso connubio di passioni diverse si capisce il vero senso della vita. Una vita di passione, una vita libera. Non è di facile compimento. Ma nessun uomo è schiavo del suo lavoro se lo concepisce come passione. E la libertà si associa in simbiosi con il progresso dell’individuo e della comunità di cui egli fa parte. Il lavoro deve essere orientato verso il progresso umano e sociale, capace di coniugare sviluppo, autorealizzazione, produzione della ricchezza insieme a solidarietà e giustizia. Il lavoro è un bene prezioso, un bene per tutti. È necessario, specie nell’attuale contesto storico-sociale, che al lavoro venga restituita la sua dignità ed il suo compito di creare un clima di bene-essere e di legalità. È insomma una risorsa indispensabile.
A cura degli alunni della classe IV C del Liceo Classico “G. Asproni” di Nuoro: Luca Acciaro, Agnese Balloi, Magda Bziouid, Angela Cerullo, Antonella Contu, Ferruccio Ferrandu, Matteo Floris, Aurora Medde, Gianna Patteri, Carola Pira, Ilenia Podda, Giulia Siotto
Coordinamento didattico: Venturella Frogheri