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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Due sono le immagini che dal tempo dell’infanzia e della prima giovinezza conservo di Arturo Filippi (Bitti 8 aprile 1888 – Torino 14 luglio 1979) senza che lui vi compaia di persona. La prima è quella della monumentale tomba di famiglia nel cimitero di Bitti: gli Altara-Filippi, nomi altisonanti de sa tzente vona, imparentati con i Satta-Musio, la grande Edina, illustratrice, decoratrice, pittrice e ceramista di fama internazionale facente parte anche lei del parentado. Quella tomba tutta marmi e sculture con figure di angeli tristi mi è tornata in mente davanti alla copertina di un libro di poesie scoperto per caso: I prigioni, autore Arturo Filippi, pubblicato da C. Paret, editore torinese, nel 1967. Vi dominano il rosso del titolo e diversi grigi: una cella di prigione, la finestra a bocca di lupo, una figura di disperazione seduta su una panca, una silhouette, appunto un «prigione». Autore del disegno Enrico Cagliari Gianeri, in arte Gec, pittore caricaturista, direttore della rivista Pasquino quando questa fu chiusa nel 1930 dal regime fascista. C’era da indagare. I prigioni sono versi che cantano di esperienza carceraria ma pure di Sardegna, tanta la nostalgia, il paese insieme lontano e in ogni istante presente. Ho scoperto che Arturo Filippi la sua vita la ha trascorsa principalmente a Torino dove faceva l’avvocato. Notizia scarna che però la poesia estende a più vaste dimensioni. C’è molto senso della pietas, della compartecipazione al dolore nella poesia di Arturo Filippi. Continuando a indagare ho scoperto che era stato amico di Grazia Deledda e Sebastiano Satta, una grande empatia, una devozione insieme fraterna e filiale per il grande poeta nuorese. Così sono venute fuori fotografie che li ritraggono insieme, Bustianu e Arturo Filippi, in veste ordinaria e in abiti eleganti, Bustianu con il suo classico cappello da signore, Arturo in bombetta.
Filippi collaborò a numerose pubblicazioni periodiche sarde e continentali. Tra i suoi scritti d’esordio c’è un saggio dal titolo significativo: L’anima della Sardegna nella poesia di Sebastiano Satta (Marzocco 1915). Ho ritrovato poi un omaggio del poeta bittese al Monte Ortobene, il Redentore là in cima. Molti i titoli nell’Opac Regione Sardegna, catalogo online del patrimonio bibliotecario, quasi tutti poesie di Filippi sparse per giornali e riviste, scritte tra l’immediato secondo dopoguerra e qualche anno prima della sua morte: Erbe della mia terra, Mamone, Febbraio, Le greggi, La fonte, Il vecchio, L’amuleto, Costa Smeralda, L’olivo morente, La voce chiusa, Una capanna spersa, Mese dei morti, Messa di Natale, Il canto del pastore, Grembo del mio paese, Sardegna sconosciuta e diffamata, Il pozzo del Convento, la Befana di Mont’Albo, Memoria di Virginia, In morte di mio fratello, Memoria di mio figlio. Significativa sequenza. Si avvertono sempre intensa nostalgia, il crogiolo del privato, diverse presenze come sostanza e come ombra che sempre lo accompagnano.
Una volta dovevo costruire una pagina di giornale sulla venuta di Vittorio Gassman a Nuoro per la messa in scena all’Eliseo dell’Adelchi di Alessandro Manzoni, il 20 giugno 1960. Quando andai a intervistare nella loro casa di via Trieste due testimoni di quell’evento memorabile, Mimma Guiso e suo marito Francesco Mascia, questi mi parlò di Arturo Filippi, della sua intensità di recita ma pure di passione politica. Mascia, allora giovanissimo, aveva conosciuto Filippi al circolo “La Fucina” fondato a Nuoro dagli «eretici del marxismo» Giovanni Dettori, Sirio Sini e Graziano Muzzetto.
Un’altra volta Arturo Filippi raccontò in un pezzo giornalistico poi recuperato da Marilena Orunesu per L’Unione Sarda, la storia di Favorito, un cavallo, che un «nobile originario di Bitti», Vito Tola Musio, proprietario di terre, aveva donato a Carlo Alberto, su re. Favorito era «di sangue inglese con il caratteristico manto isabella», colore tra il giallo e il marrone, in bittese colore mutzu, «quasi un marchio d’origine per la rarità di quella pelle biondo-dorata». Vito Tola Musio, conosciuto a Bitti come Vitu Peppe, cugino di Arturo Filippi, se ne intendeva di cavalli. Qui torna in circuito la poesia perché anche Vitu Peppe era poeta. A proposito di cavalli, famosa la risposta in versi che dette a Remunnu ‘e Locu, poeta massimo, che gli imputava il fatto che la sua cavalla non fosse stata ferrata. Rispose Vitu Peppe: «Murra est a prantas latas/ca de verros no’ ne cheret/ tenet unu bonu mere/ chi bi los ponet de prata». Chi sa se anche Favorito, tolto alle terre di Traineddu per portare in sella il re sabaudo in tante battaglie delle guerre d’Indipendenza, portava zoccoli d’argento. Anche nell’ultima disastrosa battaglia, quella che Carducci chiama la fatal Novara, 23 marzo 1849, Carlo Alberto scese in campo in sella a Favorito. Infine la lingua sarda, sta qui l’ossimoro, come sentimento originario, come linfa vitale. Ci sono tre testimonianze di Arturo Filippi nell’antologia Poesia vitzichesa dae su 1800 a su 2010, opera di Kelleddu Burrai e Tanielle Cossellu, pubblicata nel 2011. Il poeta canta S’istella de s’amore, ripropone Lamentu de su pastore come preghiera a «Soverana ‘e Gonare Mama Santa» che si trasforma in Dolore ‘e mama. Dice: «Anno chei su ventu iffattu a tie/Pipìu, e non ti poto mai sichire». Si avverte il dolore della perdita. Si sente appieno l’afflato di Sebastiano Satta come condizione.