Il lato barbaricino di Spoon River
Esce a cura di Nico Orunesu Autunni in Barbagia. Antologia dalle rive del Tirso
di Natalino Piras
Due pagine manoscritte del quaderno ritrovato. In basso: il pastore crocifisso
5' di lettura
24 Febbraio 2025

Ci sono precedenti. Uno, il cimitero reso universale dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, libro pubblicato nel 1915 ripreso nel 1971 dal quinto album Non al denaro non all’amore né al cielo di Fabrizio De André, c’è pure nel nostro Pitzinnos Pastores Partigiano eravamo insieme sbandati (2012). Nella «Bibbia» dei partigiani sardi dice un’avvertenza al lettore che Fiume Cucchiaio, questa la traduzione di Spoon River, in realtà non è mai esistito. Conta la capacità di adattare a sé le iscrizioni, gli epitaffi sulle tombe di Spoon River. Epigrafi che contengono falsità e retoriche, come in tutti i cimiteri del mondo. Ma pure verità, segni di appartenenza, la pace e la guerra, la dedizione e gli eroismi di diversi, così nelle croci e nelle lapidi di Spoon River di Barbagia, che combatterono da partigiani e in quella causa di libertà caddero e furono uccisi. 

Arriva adesso un sorprendente libretto: Autunni in Barbagia. Antologia dalle rive del Tirso, a cura di Nico Orunesu, il 48° dei suoi Quaderni a tiratura limitata, Edizioni letteratura alla macchia, 44 pagine. È un’antologia anche questa di iscrizioni e epigrafi, non su eroi e tombe, ma su pagine di carta giallina. «Questa raccolta», avverte una nota del curatore, «comprende la trascrizione parziale di un quaderno manoscritto alquanto deteriorato e sbiadito, ritrovato in un baule, parte dell’eredità di uno zio. La casa dove si trovava è stata invasa dal fango e dall’acqua durante l’alluvione del 2020, nel quale ha perso la vita lo stesso zio, travolto nel sonno dalla piena»La nota è datata Bitti-Sassari, gennaio 2025. I contenuti vengono da subito esplicitati. «Gli eventi a cui si riferiscono i testi del quaderno risalgono presumibilmente agli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, anche se non compare data di riferimento dei deceduti di morte violenta che evidentemente l’autore conosceva o di cui è stato testimone come compaesano o per sentito dire. Di certo l’estensore non conosceva l’Antologia di Spoon River, della quale viene richiamato l’impianto, sia pure con un immaginario diverso»Tutto rientra ai giorni nostri, reso contemporaneo, indicati referenti, archetipi e percorsi, da metà Novecento a questo primo quarto di secolo. «Azzardando un’ipotesi, non è da escludere che, se questa raccolta fosse venuta a conoscenza di Antonio Pigliaru, i suoi studi sulla società pastorale forse avrebbero avuto ulteriori esiti nei codici della Vendetta barbaricina come ordinamento giuridico»

I testi sono in tutto 31, numerati in romano, quasi tutti di 4 o 5 terzine per pagina.

Due esempi. La XVª poesia: «Avevo comprato una tanca/al confine dell’altopiano/per rimpinguare il mio gregge/non feci in tempo a recintarla/ad ararla e pascolarla/che mi uccisero salendo i gradini di casa/avevo una nuova camicia a fiori/stracciata dal bruciore/ di una fucilata/sparata dalla macchia vicina/si disse in giro che quel pascolo/lo pagai con i soldi di una rapina/che nascosi alla banda». Nessuna giustificazione giuridica, nessuna società resistente. Due terzine dalla XXª: «mi aveva aspettato/con la pattadese/e con la rabbia tra i denti/avevo riso di lui all’osteria/è stato un urtare di velluto e gambali/un rimbombo di parole ringhiate/un agitarsi di mani di sangue». La poesia seguente, la XXIª, effetto della causa dice della vendetta: «nel rosa del sole dell’alba/mi aspettavano per darmi la morte/una morte violenta e crudele». Solo morte, nessun appiglio al contesto, all’«altro stato», alle famiglie-nassones di elaborazione antropologica, al «noi pastori». Solo morte violenta come in tante altre società dominate dalla violenza. Continuando inutilmente, per riprendere un famoso tema di Bob Dylan, a bussare davanti alle porte del cielo. 

I paesi di questa Antologia sono la Barbagia intera e qualche estensione in altre parti della Sardegna. Lo stile, secco, ruvido, essenziale, è capace di compartecipazione e presa di distanza. I fatti, messi pagina a fronte, rievocati, a montaggio alternato, sono righe di cronaca, voce di testimone per necessità o per caso, visti con i propri occhi, narrati a caldo e poetati con lo smagamento e l’estraneazione che l’appartenenza a Spoon River pretende. Sono poeticamente detti così come la diceria immediata e la memoria paesana li hanno diffusi e tramandati. Si avverte in questo poetare la resa che Fernanda Pivano, prima traduttrice italiana di Antologia di Spoon River, fa della poesia di Edgar Lee Masters. 

Giusto il colore della copertina. Ricorda lo sfondo delle edizioni Einaudi delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza, italiana e europea. La dizione dalle rive del Tirso ben si compara al pianto dei profeti dell’Antico Testamento, Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele che cantano la cattività e l’esilio della propria gente a Babilonia. Dice uno di loro: «Esco in campagna/e vedo quelli che/sono stati passati/a fil di spada». Antologia dalle rive del Tirso come ontologia delle acque, le rive e la deriva, quelle che raccontano una considerevole parte del nostro pianto storico.

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