Il ritorno di priteru Caente, aiutante diacono
I magnifici sette, personaggi immaginari presi dalla realtà/2
di Natalino Piras
L’orizzonte de Sa Preta Bianca, Alà dei Sardi, visto da Crastazza
5' di lettura
18 Novembre 2023

Letteralmente prete Caldo. Sta nella terra sospesa tra realtà e finzione, mondo alla rovescia di saggi/imbroglioni, mago e truffatore, parolaio. Recita così una canzone: «Bene torratu priteru Caente, dae sar durches terras istazzinasinumbe is cunvertinne meta zentevisi diacunu, prideru e becchinu, visi caddu, mulu e molentechi non ti ghirat mancu su caminusi li sichis chin tantu talentuas’a esser mannicatore ‘e pane lentu». 

Il ritorno di priteru Caente niente somiglia a quello di Ulisse a Itaca. Però ci hanno ricamato sopra molte storie. Le ho raccolte e pubblicate, vent’anni fa, nel libro La Sardegna dei sortilegi. Tra le fonti avevo attinto da una documentata narrazione di priteru Caente fatta, con linguaggio tutto suo, sardo, spagnolo e italiazzu, da Battollianu, alias Salvatore Sanna, bittese emigrato in Argentina. Per le strade dell’Argentina, Batollianu ha camminato per ricomporre le vite dei suoi compaesani come lui emigrati. Ma pure tutto il contesto di storie vere e inventate che sono humus fertile di qualsiasi paese portatile. «Narravano i vecchi del vicinato di Putajola», così Battollianu, «che molti anni fa, una borghese famiglia aveva mandato a studiare un loro figlio all’università di Sassari, e dopo molti anni è riuscito a non studiare niente come un perfetto inutile che era». Considerato che con gli studi non c’era niente da fare, la famiglia del futuro priteru Caente, consigliata da un professore amico, decide di mandarlo in convento. Qui, a parte qualche parola di latino imparato a forza di spinte, i risultati non migliorano. «Negli esami di teologia lo hanno specializzato e promosso aiutante diacono perché non riusciva a imparare niente. Già teneva trenta anni e più». Uno così mica poteva fare il prete vero. Rimane al grado di aiutante diacono, non del tutto priteru isconzu. La curia spedisce priteru Caente negli stazzi della Gallura inferiore «cioè la terra di Pradu, Concas, Pietra Bianca, che stano dentro il sarto de Buddusò, Bitti, Lodè, Alà». In quegli stazzi, «totale le genti erano umili e comprensive», priteru Caente esercitava la sua missione sacerdotale e insieme faceva il medico, lo stregone, il becchino, insomma di tutto. Caente glielo avevano messo perché aveva sempre caldo. D’inverno dormiva sopra la neve, d’estate dentro il pozzo. 

A conti fatti, l’esperienza degli stazzi deve essere servita a priteru Caente. Tornato in patria, fu mandato a Gorofai. Di questo periodo, famoso resta l’episodio del battesimo di Prischialipedde, che è anch’egli personaggio che non esiste e che a dirne l’imprendibilità, il non esserci in lui né sostanza né sugo suona letteralmente come raschiala la pelle. Il battesimo di Prischialipedde celebrato da priteru Caente tutto fu tranne che solenne sacramento. Un altro fatto è ambientato a Mamone appartenente alla parrocchia di Gorofai. Mamone come terra sospesa tra vero e finzione, nucleo originario, secondo una vulgata secondaria, del ciclo di Mussingallone. È da là che una volta scontata la condanna proviene Mussingallone deus novu, secondo alcuni prigioniero di guerra (al tempo che Domenico Millelire fermò alla Maddalena la flotta napoleonica che aveva invaso l’Isola) ladro de pacu prus o mancu secondo un’altra versione.

La colonia penale era in attività anche al tempo di priteru Caente. Fu inviato a Mamone per sedare una rivolta di cundennatos. Issato sopra una tavola procuratagli dal direttore delle carceri, priteru Caente fece «uno strambolico discorso» ai rivoltosi. Disse più o meno: «Oh, galeotti! figli del diavolo Mascazzu e Luzeddu, voi volete donne ma dato che siete così allutos perché non andate a buttarvi nelle acque di rio Gallè? Altrimenti vi faccio castrare come porci!». Immaginate voi il tumulto. I rivoltosi fecero per linciare il prete ma poi cambiarono idea. 

Dopo Mamone, le trame di priteru Caente si perdono. Dice Battollianu: «Ci sono infinite storie che molte volte sembrano delle vere favole. Però noi raccontiamo come i nostri vecchi ce le narravano. Tocca a voi credere sì o no».     

Come priteru isconzu c’è un personaggio che somiglia a priteru Caente. È Dionisi Panteas che la mamma chiama Flore Galanu, in Nuove figure e tradizioni del Nuorese, quarto libro della riedizione dell’opera omnia di Monsignor Raimondo Calvisi. «Tia Bonaera, si diceva ipocritamente indegna di vedere il figlio cantare Messa. In realtà sognava di vivere in qualche villaggio, fosse pure tra gli stazzi di Malamorì, in una canonica modesta, con l’orticello a fianco della chiesa». Un sogno che mai si attuerà. Mandato via dal convento dove faceva il probandato, Dionisi Panteas sarà prate isconzu e in compagnia di balordi come lui si dedicherà alla cerca di tesori nascosti. Non fosse che di mezzo c’è sempre Luzeddu, lo stesso nominato da priteru Caente.

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