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È una storia che dura da mezzo millennio. A tratti la scansione cronologica dilata, varca i confini del reale, entra nel leggendario che caratterizza i Santuari. Accade pure per S’Annossata, la chiesa dedicata all’Annunciazione, collocata, sotto il livello del mare, dentro S’Adde, giù dalla colonia penale di Mamone, a trenta chilometri da Bitti e sei da Lodè.
S’Annossata è per i bittesi la festa più significativa di maggio, la penultima domenica del mese. È una festa lunga che inizia con la novena e chiude il martedì con il rientro in paese di tutta la gente, in camion, macchine, cavalli. L’anticipo di questo corale sentire è il 25 marzo, in calendario l’Annunciazione del Signore a Maria da parte dell’angelo Gabriele. Molti quel giorno vanno al Santuario solo pro s’intennere una missa.
S’Annossata è per i bittesi la proiezione campestre della festa grande del Miracolo che cade sempre il 30 settembre. Vasta la letteratura, vastissima, storie e leggende, scritture e immagini, una produzione di testi che potremmo collocare tra il rigore storico del gesuita padre Raimondo Turtas e le interpretazioni di Giulio Albergoni, artista e scrittore. Entrambi bittesi di profondo sentire, ricercatori per archivi ma pure attenti alla tradizione orale.
Si dice che sas grobbes, gosos, pro S’Annossata li abbia composti Giovanni Proto Arca (1545-1599), sacerdote bittese, storico. Il metodo di Proto Arca sconfina dal reale nell’immaginario, appunto nel leggendario dove molto è affidato alla fede, ai suoi doni ma pure alle sue fascinazioni. Ci sono dentro il Santuario, dentro la piccola chiesa, davvero sorprendente come da cinque secoli riesca a contenere moltitudini e folle provenienti da ogni dove, statue della Madonna, panneras, icone e altri segni. Come quei tre teschi vicino all’altare che non si sa di chi siano. La tradizione vuole che siano stati rinvenuti in qualche parte de S’Adde e portati dentro la chiesa, in segno di pietà, di cristiana sepoltura, ma pure di avvertimento, di monito.
Il tempo della festa lunga è denso di spirito religioso e contos che attengono più al profano che al sacro, poesias che raccontano fatti memorabili, visioni mistiche ma pure dettate da solenni ubriacature, processioni, cumbitos e cibo, cosas vonas, condiviso, visite di casa in casa, quelle di proprietà e sas cumbessias, corfos de tenore in piccole oasi e spiazzi al riparo di alberi secolari, tra sentieri verso forre e baratri, discese al fiume e risalite nella parte alta. Nel tempo della festa il Santuario è luogo sacro, inviolabile, «privilegio di diritto d’asilo e immunità ai ricercati della giustizia ospitati nel Sacro Recinto» scrive Albergoni.
S’Annossata, il Santuario e la festa così come tramandati dalla memoria storica e dal sentire popolare, è uno dei motivi strutturanti Sos sinnos, il romanzo postumo di Michelangelo Pira pubblicato in sardo, vitzikesu, nel 1983, un anno dopo tradotto in italiano da chi scrive.
Nel romanzo viene riportata la vicenda di Loeppe, chiamato Nurai nel pezzo di teatro radiofonico da cui proviene.
A S’Annossata, Nurai-Loeppe è ossessionato dae sa chintoglia, la cintura in pelle finemente lavorata e gonfia di denari, che porta su Ghellaesu.
Il desiderio di Loeppe si trasforma in cupidigia, l’invidia domina ogni momento delle lunghe giornate che sono per gli altri di preghiere e di canti, di ballos a tres pizzas. Come l’avveramento di una perfetta letizia: ma non per lui, Loeppe. Sa chintoglia de su Ghellaesu, come poterla sottrarre al legittimo proprietario, indegno di tanta ricchezza perché maccu, è l’ossessione di Loeppe. Attira su Ghellaesu, ebbro di festa, in un luogo nascosto, ma sempre dentro il recinto sacro del Santuario, e lo uccide, coltellate inferte con violenza, estrema. «Te’ te’ su maccu ghellaesu!» è la voce eccitata di Loeppe a ogni coltellata contro la vittima indifesa. È l’abisso, solo l’abisso, a cui portano la profanazione del Santuario, l’oltraggio alla sacralità e al sacro. Avverte il romanzo di Michelangelo Pira che a S’Annossata bisogna andarci liberi, a cuore sgombro, soprattutto liberati da Loeppe e dalle sue ossessioni. La violazione della festa impone il silenzio di Dio, comporta l’essere messi fuori dallo spirito unificante della communitas. Uno come Loeppe non ha senso di esistere all’Annunziata, in ogni tempo.
Fuori dal romanzo molti sono i segni del tutto opposti all’insania e alla furia. Tra i tanti quello di padre Raimondo Turtas, lo storico. Scrive Marilena Orunesu nel numero in corso del Miracolo(gennaio-aprile 2025) che in rispetto alla regola gesuitica di rinuncia ai propri beni, Rimunnu Turtas vendette la sua parte di “Pala e tzanca” e col ricavato fece costruire nel santuario de S’Annossata un locale grande e attrezzato di tutto per accogliere novenanti, pellegrini, centinaia di persone che là «possono ristorarsi e fare comunità dividendo pane, vino e tutto il ben di Dio che arriva». Quando il locale fu inaugurato correva il 1985.