31 Agosto 2024
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Cuore a cuore con il mondo
La massima autorità diplomatica del Vaticano, il numero due di Francesco: lo si presenta così, normalmente, ma ad ascoltarlo e a stargli accanto colpisce il suo parlare pacato, la cadenza veneta ancora si percepisce, e come una dolcezza di fondo di colui che porta “il cuore della Chiesa nel cuore del mondo”, per riproporre il titolo della serata. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, è tra gli ospiti più attesi della decima edizione della Pastorale del Turismo, lui che proprio dieci anni fa veniva chiamato dal Papa a ricoprire questo ruolo così delicato.
Ma il cardinale, intervistato da Alessandro Zaccuri – responsabile della comunicazione dell’Università Cattolica, scrittore e giornalista di Avvenire – dà subito una immagine diversa di quella che si immagina essere la “potenza” della Curia Romana: «Nel nostro lavoro – spiega – occorre evitare di essere una realtà burocratica, la nostra è una realtà pastorale. Dietro ogni carta c’è una persona». «La nostra è una diplomazia di sacerdoti che chiede grande vicinanza ai bisogni della gente», per questo «occorre prendere a cuore ogni situazione per dare delle risposte».
Chiesa e pace. La pace – dice Parolin – è sfidata in tanti conflitti anche di cui si parla poco, come in Sudan, Repubblica democratica del Congo, Sahel, Myanmar. «A volte – confessa – ci si sente impotenti ma la Chiesa deve continuare a proporre la pace. A livello di magistero c’è un grande insegnamento – ricorda – e poi c’è tutto l’impegno umanitario». Ma il cardinale sottolinea anche come tutta la comunità debba essere impegnata nella costruzione della pace, artigianalmente, giorno per giorno. Solo comunità che vivono in comunione tra loro e si sforzano per superare i conflitti possono essere esempio di fraternità.
Chiesa e fragilità. Di fronte alle molteplici situazioni di sofferenza che vivono le persone la Chiesa non si stanca di essere “ospedale da campo”, come dice Francesco. «La vicinanza a tutti è una maniera per evangelizzare. La Chiesa – ricorda il cardinale – è madre ma anche maestra, per dare un orientamento e proporre la via della santità a tutti». L’accoglienza non è disgiunta dalla crescita spirituale e dalla conversione.
Chiesa e sinodalità. «La Chiesa è sempre sinodale perché sempre in cammino», dice Parolin. «Occorre non creare attese eccessive sulla sinodalità ma neppure sminuirla. Il valore è riscoprire la responsabilità di tutti nell’annuncio del Vangelo, attrezzarci per rispondere a questa vocazione».
Laicato e donne. Sul ruolo dei laici, secondo il Segretario di Stato, occorre una «presa di coscienza della vocazione che il Battesimo comporta. Si rischia di dimenticare la vocazione del laico, la “trasformazione del mondo secondo il Vangelo” e ce n’è bisogno, penso alla politica ma non solo. Occorre impegnarsi nella comunità e nella società». Sulle donne il cardinale ricorda che sempre più sono i ruoli di responsabilità ricoperti anche nella Chiesa ma «occorre una mentalità nuova, ci vuole pazienza».
Verso il Giubileo. L’auspicio di Parolin è che il Giubileo sia una «occasione per riscoprire la speranza fondata su Dio». Per i giovani, primi destinatari, faccia «emergere le domande fondamentali a partire dal senso della vita».
Alla fine dell’incontro impreziosito dalle note di Gavino Murgia, rispondendo a una domanda del Vescovo Antonello, il cardinale ha idealmente ripercorso una sua giornata di lavoro, densa di impegni e con poco tempo per sé: «La cosa importante – ha affermato – è ricavare il tempo personale per la preghiera, altrimenti si diventa funzionari». Questo è l’unico modo per «dare una testimonianza della nostra fede e dell’amore del Signore». (fra. co.)
La donna nella Chiesa e nella società
Il 12 agosto il ruolo della donna nella Chiesa e nella società è stato al centro della conversazione tra il cardinale Matteo Zuppi, la giornalista Elvira Serra, la biblista Rossana Virgili e la presidente della Regione Alessandra Todde. Donne con esperienze di vita diverse, anche madri, che hanno accettato di confrontarsi su temi delicati per quasi due ore.
L’incontro si è svolto nell’Area Fraterna della Caletta moderato dalla giornalista Monica Mondo con gli intermezzi musicali di Chiara Effe. L’accoglienza è stata curata dalla comunità di Mamoiada. Il cardinal Zuppi ha ricordato che la Chiesa è femminile, e senza cuore non si capisce la vita e il senso del limite e della sofferenza. In chiusura il Vescovo Antonello ha posto alcune domande interessanti per la riflessione sul ruolo delle donne nella società e sugli stereotipi. Donne come persone e parte di comunità che imparano l’arte dello stare insieme e di amarsi. (pri. ma.)
Lo sport, il cuore e la spiritualità
Campioni a confronto Il 17 agosto nell’Area Fraterna della Caletta. Tra gli intermezzi musicali di Lilly & El Music Live Duo, il calciatore Antonio Cabrini e la sciatrice Manuela Di Centa hanno riflettuto sul rapporto tra sport, cuore e spiritualità.
Accoglienza a cura della comunità di Lula. La serata moderata dal giornalista ed ex arbitro Andrea Contini, è stata un’occasione per rivivere emozioni e ascoltare le testimonianze di atleti affermati che oltre ai risultati sportivi hanno messo in luce valori umani. Non sono mancati i riferimenti ai successi degli atleti sardi alle olimpiadi. (pri. ma.)
Il premio Persona Fraterna 2024 a don Luigi Ciotti
Sensibilità per i poveri e i giovani, lotta alle mafie che mobilita persone e istituzioni, accoglienza per gli emarginati, giustizia sociale, la sua parrocchia è la strada. Con queste motivazioni don Luigi Ciotti ha ricevuto dalle mani del Vescovo Antonello il premio Persona fraterna del 2024. A Tortolì, nell’Anfiteatro Caritas, il 18 agosto è stato intervistato dal giornalista Giacomo Mameli. Guerra, educazione e dipendenze, i temi al centro del dibattito con gli intermezzi musicali della cantante Livia Ledda e del pianista Giovanni Sechi. Il sacerdote fondatore del Gruppo Abele e di Libera ritiene che a distanza di 30 anni dalle stragi di mafia si è passati dal crimine organizzato locale al crimine normalizzato transnazionale. Don Ciotti ha parlato dei suoi maestri, Tonino Bello e Michele Pellegrino. L’accoglienza è stata curata dalla comunità di Cardedu. (pri. ma.)
L’omaggio a Gigi Riva
Il 19 agosto a La Caletta e il 20 a Tortolì Silvano Vargiu ha portato sul palco il suo spettacolo “Giggiriva” accompagnato dal musicista Mauro Aresu, con la collaborazione tecnica di Francesca Nieddu. Un racconto, quello di Vargiu, di una storia «epica e gloriosa» che lascia alle future generazioni l’esempio di «umiltà, coerenza, caparbietà ma soprattutto il grande cuore» di un uomo diventato mito. A seguire una conversazione moderata da Andrea Contini: all’Area Fraterna di La Caletta sono intervenuti Paolo Milani, romano, cantautore cristiano e autore dell’inno “Tifo Cagliari e bo” che in ogni partita casalinga risuona alla Domus; accanto a lui il giornalista Bruno Corda, per oltre trent’anni storica voce radiofonica delle gare del Cagliari. All’Anfiteatro Caritas di Tortolì sono invece intervenuti Giuseppe Tomassini, il libero del Cagliari scudettato del 1970, e il giornalista di Avvenire Francesco Ognibene, diventato da bambino cuore rossoblu proprio grazie alle gesta di Gigi Riva. (fra. co.)
La dignità di un innocente
Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.
Vengono in mente le parole del Salmo in questa prima estate di libertà per Beniamino Zuncheddu. Il suo volto, quasi «ringiovanito» come ha detto il Vescovo Antonello, il suo sorriso, le sue parole – poche ma precise – rimarranno tra i doni più belli di questa edizione della Pastorale del Turismo. E le tante persone che hanno gremito l’Area fraterna di la Caletta il 21 agosto sono la risposta più bella a una chiamata a confrontarsi sui temi della giustizia e insieme l’abbraccio ideale – e alla fine concreto – a un uomo che ha vissuto 33 anni della sua vita in carcere da innocente. Si è trattato del più grave errore giudiziario della storia italiana eppure questa vicenda umana, e processuale, una volta conclusa non ha aperto nel Paese il dibattito che i protagonisti si sarebbero aspettati. Lo ha detto la Garante delle persone private della libertà, Irene Testa, lo ha detto l’avvocato di Zuncheddu, Mauro Trogu, lo ha cantato il maestro Giampriamo Incollu che tra gli intermezzi musicali ha inserito un suo brano composto lasciandosi ispirare da questa vicenda, intitolato “Stato distratto”.
Don Sergio Massironi, teologo del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che ha moderato la conversazione, ha invitato i presenti ad allargare la riflessione anche alle problematiche che investono il mondo del carcere e l’amministrazione della giustizia in generale ma anche come l’informazione tratti questi temi.
Prima di tutto però voce a Beniamino, uno che in realtà di parole ne usa poche: «Cerco di dimenticare – ha detto – ma non si dimentica mai». E ancora: «Quando ero in carcere la mente era fuori, il corpo era dentro. Sapevo che la libertà sarebbe arrivata. Pensavo sempre alla libertà e mi dicevo un giorno o l’altro la verità dovrà venir fuori». Lo pensava perché era innocente. I fatti li ha ricostruiti l’avvocato Trogu a cui va il merito, con l’aiuto della Garante Testa, di aver dato una svolta decisiva per ricostruire la verità che ha restituito al suo assistito la libertà.
Non era scontato, e gli ostacoli si sono rivelati durissimi. «Deve cambiare la cultura diffusa nel Paese – ha detto Trogu – un cambio alla radice nella società. Alla fine la differenza la fanno le persone e la coscienza con la quale esercitano il loro ruolo, dalle forze di polizia ai giudici fino ai giornalisti e ai partiti. Quello che è accaduto a Beniamo – ha affermato – è il frutto di un meccanismo che si ripete quotidianamente e che non ha i connotati della civiltà».
Don Massironi ha spiegato come nelle idee di molti, dei più purtroppo, sicurezza equivalga a più persone in carcere: «Vedere una persona in prigione rassicura a prescindere dal fatto che sia realmente colpevole – ha sottolineato Trogu. Giustizia non è uno Stato che mostra la sua forza bruta condannando, giustizia è soprattutto una sentenza di assoluzione. Dovrebbe farci sentire più sicuri – ha spiegato l’avvocato – uno Stato che dice “abbiamo accusato e ci siamo sbagliati”. Così manifesta una forza che è responsabilità». Ma c’è un dato che resta: «Nella sua immane tragicità – ha ricordato Trogu – quella di Beniamino non è una storia isolata. Potrebbe accadere a chiunque».
A dimostrarlo i numeri che Irene Testa ha ricordato: «I dati del Ministero dell’Economia dicono che ogni anno mille persone sono in carcere da innocenti, altre 20mila sono in custodia cautelare in carcere in attesa di giudizio. Questa vicenda – ha detto ancora la Garante -, il sacrificio di Beniamino doveva valere qualcosa invece nulla è stato fatto. Neppure è arrivata una parola di scuse, peggio, siamo di fronte a uno Stato che dice “Arrangiati”. Se non fosse per i familiari non sappiamo cosa sarebbe stato di Beniamino».
I dati sui suicidi e quelli sul sovraffollamento – anche Zuncheddu ha ricordato le celle da quattro con undici brande o materassi a terra e il cartone per cercare di limitare l’umidità -, dovrebbero mobilitare opinione pubblica e Legislatore ma questo non accade. «Basterebbe tornare alla Costituzione – ricorda Testa – quando dice che la pena deve tendere alla rieducazione. Invece per una distorta idea di sicurezza il carcere è diventato il contenitore di ciò che dà fastidio e che le agenzie del territorio non sanno gestire: i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, gli stranieri. Il carcere – che pure costa allo Stato 3 miliardi e 500mila euro ogni anno – versa in uno stato di abbandono totale». Da qui l’appello della Garante in vista del Giubileo: «Tutti ricordano le parole di Giovanni Paolo II, il suo intervento fu molto importante. Sarebbe bello che anche verso il 2025 si ripetesse un simile appello ricordandosi sempre che il tema delle carceri non va mai separato dalla questione giustizia».
Da La Caletta arriva un importante contributo che la Chiesa offre in questa direzione. Alle istituzioni il compito di non lasciarlo cadere. (fra. co.)
Avere a cuore la legalità
A Tortolì serata di riflessione e il dibattito su un tema strettamente attuale e complesso: la legalità. Ospiti Roberto Sparagna, Sostituto Procuratore della Direzione nazionale antimafia, e Rodolfo Maria Sabelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari. Il dibattito è moderato dal giornalista di Avvenire Francesco Ognibene.
L’ambasciatore straordinario
È forse quella di testimone, cristianamente parlando, l’immagine che resta di Luca Attanasio alla luce della serata della Pastorale del Turismo a lui dedicata il 26 agosto. Sul palco dell’Area Fraterna insieme al giornalista Luciano Piras il padre di Luca, Salvatore. In collegamento video la giornalista Antonella Palmieri che alla figura di Attanasio ha dedicato un bellissimo podcast intitolato “L’ambasciatore straordinario”, disponibile su Rai Play Sound. Presente a La Caletta anche la madre di Luca, Alida. La serata è stata impreziosita dagli interventi in canto dei Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu, l’accoglienza era a cura della comunità parrocchiale di San Giuseppe giunta da Nuoro.
La vicenda umana di Luca, le sue esperienze di vita, la sua personalità, sono state tratteggiate in maniera puntuale ma altrettanto delicata, facendone emergere tutta la bellezza e grandezza. «La sua è una figura straordinaria, pur essendo un ragazzo comune – ha detto Antonella Palmieri -. Ha trasformato con impegno, tenacia, perseveranza la sua vita in qualcosa di incredibile, pur essendo un ragazzo di provincia come molti altri. Certo lui aveva una famiglia solida, un punto di riferimento nell’Oratorio, ma è l’esempio di quello che potrebbero diventare tutti i nostri giovani. L’idea che non siamo bloccati nella situazione in cui nasciamo ma possiamo cambiare, evolvere, fare qualcosa per gli altri, questo è il messaggio».
Quella di una straordinaria normalità è la cifra della sua esistenza fin dalla giovinezza. «Era un ragazzo normale – ha detto il padre -, amava la vita, l’amicizia con la a maiuscola, non faceva mai nulla con secondo fine e la gente lo percepiva. Era libero, per questo non ricattabile, e non scendeva a compromessi. Quando era convinto di essere dalla parte della ragione non mollava. Sapeva ascoltare, pensava con la testa e agiva con il cuore, questa è una sua grande dote. A 16 anni, dopo aver presentato l’idea al parroco, aveva organizzato un servizio di volontariato per gli anziani della sua comunità parrocchiale, “Servizio sorriso”, con alcuni amici andava semplicemente a tener loro compagnia».
Crescendo si fanno presenti alcune domande, il processo della maturazione della sua persona come pure della fede sono resi in maniera perfetta dalle sue stesse parole, scritte in occasione di un ritiro con il suo gruppo. Scrive a se stesso, si interroga sul suo rapporto con Dio e con gli altri. Abbiamo la fortuna di leggere carte emerse da un “cassetto personale”, aperto dai genitori solo dopo la sua morte. Nelle sue parole – dice il padre – «emergono i dubbi, le speranze, i sogni, il suo mondo intimo».
Negli scritti più maturi e nel confronto con gli educatori del gruppo ecco il cambiamento: «Luca – racconta Antonella Palmieri -, laureato alla Bocconi è ormai entrato a far parte di una società, un colosso della finanza, in cui guadagna tantissimo, ha prospettive di carriera ma si chiede: “È davvero quello che voglio?”. Aveva un passato di apertura verso il mondo, non voleva stare chiuso ma fare qualcosa per il prossimo e per il suo Paese. “Mi sento in una gabbia dorata”, diceva. Allora lascia il lavoro e tenta la carriera diplomatica: è il crocevia della sua vita».
Questo nuovo capitolo che si apre, come pure la storia d’amore con Zakia, sua moglie, hanno un minimo comune denominatore, “andare verso”, per dirlo con le parole di un amico. Lo fa anche quando con la moglie arriva a Kinshasa, i due sono immediatamente colpiti dalle migliaia di bambini di strada, «per lui – dice il padre – è una dovere morale aiutare chi, non per sua scelta, è nato dalla parte meno fortunata del mondo. Con Zakia fonda un’associazione, va per strada a distribuire cibo, a chiunque vada a trovarlo chiede di portare una valigia in più per i medicinali da destinare ai più piccoli».
Ma questa umanità la dimostra anche con il personale dell’ambasciata e con gli agenti di scorta: «Luca – dice ancora Salvatore Attanasio – tratta la gente con dignità indipendente dal ruolo, vedeva la persona non la funzione della persona. I ragazzi che facevano servizio di scorta dicevano “Siamo felici di accompagnarlo, ci rende orgogliosi di essere italiani. Non sono tutti così”».
In circostanze ancor non del tutto chiare, il 22 febbraio del 2021, in un attacco armato l’ambasciatore Luca Attanasio muore insieme al carabiniere che lo scorta, Vittorio Iacovacci, e all’autista Mustapha Milambo.
Che a distanza di anni ancora non si sappia cosa sia accaduto quel giorno grida vendetta, dal palco il Vescovo ha dato voce all’indignazione di un padre: «Luca ha onorato il nostro Paese in tutti i luoghi dove ha operato, ci aspettavamo che di fronte alla morte di due uomini di Stato nell’esercizio delle loro funzioni lo Stato cercasse la verità, invece di fronte all’immunità avanzata dall’Onu per evitare il processo ai suoi funzionari coinvolti nei fatti non ne ha mai chiesto la revoca. Il Gip ha deciso il non luogo a procedere, il processo non si farà. Bisogna restituire l’onore a questi nostri caduti. I primi a fuggire sono gli apparati dello Stato, uno Stato forte con i deboli e debole con i forti. Abbiamo toccato con mano la poca autorevolezza delle nostre istituzioni in uno scenario internazionale. Non avranno giustizia, questa è la nostra indignazione. Ma non ci rassegniamo – ha assicurato Salvatore Attanasio -: useremo tutte le armi legali, non ci fermeremo. Chiediamo l’aiuto della popolazione civile che si deve indignare di fronte al comportamento pilatesco delle istituzioni. Per questo è nata l’associazione “Amici di Luca Attanasio”, più siamo più forza avremo. Portare nelle scuole l’eredità morale di Luca può essere esempio per i giovani e per la ricerca della verità». (fra. co.)