Trump e il volto mascherato del colonialismo odierno
di Francesco Mariani

5 Aprile 2025

4' di lettura

Lo dice Donald Trump: «La Groenlandia ci serve e ce la prendiamo». Parole che delineano un nuovo corso nei rapporti politici internazionali e riesumano l’antica equazione che chi ha la forza ha pure la ragione. Un modo di pensare e di agire prepotente e disgustoso. Una declinazione moderna della legge del più forte.

Sono tante le cose che ad uno Stato e ai singoli cittadini servirebbero e non le hanno. Applicando coerentemente il principio trumpiano, secondo cui se una cosa mi serve me la prendo, apriamo le porte ad interminabili guerre stellari, commerciali, terrestri e marine. Il tanto brutale e deprecato (a parole) colonialismo torna all’attualità riabilitato. Gli americani (quali?), nel tempo remoto colonizzati dagli europei, vorrebbero ora prendersi la rivincita sui loro avi accaparrandosi un po’ di Europa, a cominciare dalla Groenlandia. Una logica non diversa da quella di Putin, della Cina, della Francia e Regno Unito. Ossia il quintetto che forma il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ovvero dell’istituzione che dovrebbe garantire la pace e i diritti di ogni popolo e nazione.   

Il colonialismo ha cambiato modi e sembianze. Negli ultimi tempi, una delle sue forme mascherate è quella dell’“accaparramento di terra”. Si tratta di un esproprio tramite acquisto o affitto di terreni pubblici e privati che, considerati inutilizzati o commercialmente poco remunerativi, vengono venduti a terzi, aziende o governi di altri Paesi. Ovviamente senza avvertire le comunità locali che vi abitano. L’obiettivo è sempre il soldo. Questa pratica è molto diffusa in Africa e vede protagoniste tutte le superpotenze.

Trump ha parlato prima di acquisto della Groenlandia e poi di annessione. Ha riportato il colonialismo alla sua cruda realtà. Mi servono materie prime, petrolio, punti strategici di controllo? Vado e me li prendo ad ogni costo “colonizzando” i paesi che le posseggono. Va ricordato che storicamente le imprese coloniali europee, pure quelle italiane, furono sostenute non solo dai liberali e dai capitalisti, ma anche da una parte di quella che noi oggi chiamiamo di sinistra. Tutti contenti di spartirsi la torta sulle spalle altrui, di impossessarsi, con la forza, dei beni di cui avevano bisogno. 

La colonizzazione del continente africano ha reso possibile la rivoluzione industriale, ora sta finanziando la green economy, la nostra rivoluzione verde o transizione ecologica. Le economie occidentali, ieri come oggi, non si preoccupano delle condizioni di milioni di lavoratori-minatori, spesso minori, che ogni giorno per salari da fame si affannano a estrarre quelle terre rare di cui tanto ha bisogno il mondo sviluppato, senza le quali si fermerebbe. Sotto questo punto di vista America ed Europa, Russia e Cina si differenziano di poco tra loro.

Altra forma moderna di colonizzazione è quella che oggi chiamiamo globalizzazione, spacciandola come possibilità di democrazia e partecipazione. In realtà si tratta di colonialismo culturale, informativo, tecnologico ed ha sempre un suo focus, un suo centro che guarda a caso si dirama puntualmente dalle superpotenze citate. Esso ha anche un rilievo politico: non invado militarmente uno Stato ma lo controllo facendolo governare da chi voglio io. E lo chiamano libertà.

Le parole di Trump sono indigeribili eppure perfettamente compatibili con il pensiero di tutte le superpotenze. Tu ti prendi l’Ucraina ed io la Groenandia, Panama e forse il Canada; tu prendi Taiwan ed io la Georgia… Con Melchiorre Murenu verrebbe da dire: Tancas serradas a muru/ fattas a s’afferra afferra/ si su chelu fit in terra/ lu dizin serrare pure.

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