
4 Marzo 2025
9' di lettura
Don Luciano Ibba è missionario Fidei donum dell’Arcidiocesi di Oristano a Sicuani in Perù. Non solo offre la sua cura pastorale alla comunità ma dirige anche una casa chiamata La Posada de Belèn, che ospita per qualche tempo minori a rischio, abbandonati o vittime di violenza e tratta.
Lo abbiamo incontrato riuscendo a “rubare” qualche momento al suo impegno quotidiano nella missione.
Don Luciano puoi darci qualche cenno biografico e sulla tua formazione per chi non la conosce?
«Io nasco in un piccolo paese di campagna della provincia di Cagliari, anche se parte della Diocesi di Oristano, in una famiglia estremamente buona, bellissima. Babbo contadino, mamma sempre occupata in casa. Ho ricevuto una formazione cristiana molto bella, con un sacerdote già dai primissimi anni, dalla prima Comunione in poi, che è sempre molto attento ai bambini e ai ragazzi. E lì è nato qualcosa. Sono quindi entrato nel Seminario minore di Oristano, ho frequentato le scuole medie e Liceo Classico. Una bella esperienza, a volte un po’ lontano da casa, però la formazione nel Seminario e quella scolastica sono state decisive per permettermi anche quel discernimento necessario arrivati i 18 anni che mi ha portato a scegliere la Teologia e il Seminario maggiore. In quel momento, che è critico perché uno non è mai sicuro di quello che sta pensando, l’idea di lavorare nella Chiesa, come parte della Chiesa, e soprattutto pensando ai ragazzi e ai giovani, è stata fondamentale. Importante è stata anche la presenza nei primi due anni di Teologia e Filosofia di don Antonello, attuale Vescovo di Nuoro e di Lanusei, che ci proponeva itinerari di formazione seri, partecipando attivamente a quei momenti propri della formazione personale e di gruppo, insieme a quella che è la formazione teologica. Finito il Seminario, l’ordinazione diaconale quindi, giovanissimo, l’ordinazione sacerdotale. Diverse esperienze come animatore in Seminario poi come parroco nella zona barbaricina di Ovodda e Tiana, quindi Samugheo, e sempre l’impegno come assistente di Azione cattolica prima con i ragazzi e poi con i giovani».
Come hai conosciuto il Perù?
«Nel 1992 è arrivata la visita desiderata e scelta personalmente di trovarmi a Sicuani con un sacerdote diocesano di Oristano. Sempre l’esperienza missionaria mi illuminava, mi entusiasmava, avevo molte curiosità e quindi appena sacerdote i primi risparmi sono stati per questo viaggio che mi ha aperto gli occhi su una realtà di Chiesa molto diversa e di una realtà sociale complessa. In quell’occasione ho preso l’impegno con il Vescovo locale di ritornare a lavorare.
La decisione missionaria si è realizzata nell’anno 2000, a giugno, quando finalmente con l’autorizzazione del Vescovo ho potuto iniziare l’esperienza qua nella diocesi di Sicuani».
Cosa hai trovato qui in Perù?
«Arrivando in Perù ho trovato una realtà un po’ diversa dalla nostra. La prima, pochissimi sacerdoti che si facevano carico di un lavoro pastorale immenso in territori molto estesi. Diversi anche in forma solitaria, per cui mi sono trovato già dai primi anni a spostarmi dalla parrocchia verso altre parrocchie in aiuto, perché non c’erano più i sacerdoti incaricati. L’altra cosa bella e interessante è la presenza dei laici impegnati, la Chiesa si faceva in forma più “orizzontale”. Non c’era decisione che il parroco prendesse senza l’opinione e i suggerimenti dei membri laici che in generale erano tutti volontari, non percepivano nessuna ricompensa. Tutti incaricati in diversi settori, i catechisti del campo, i catechisti della città, gli animatori dei gruppi, l’animazione liturgica, i responsabili dei ragazzi. Questa era la cosa bella, le assemblee parrocchiali che dettavano la marcia dell’anno, che cosa facciamo, che cosa non facciamo, che cosa è più urgente; le riunioni del consiglio pastorale tutti i mesi, ogni mese e poi le riunioni di coordinamento rassicurano il parroco che le decisioni che si prendono sono, come diremmo oggi, sinodali, condivise in tutto. Questo mi ha sorpreso».
E il contesto religioso?
«Il contesto è di una religiosità molto diffusa, molto sensibile, una partecipazione di persone, di famiglie, e anche questo è importante, che partecipano in una forma molto molto attenta. Per esempio da subito mi ha sorpreso come la gente veniva a Messa portando i figlioletti piccoli il giorno del loro compleanno come per dire grazie alla vita. Non avevano niente da condividere però a Messa ci andavano in qualsiasi giorno della settimana secondo il giorno del compleanno. Il ricordo dei morti certamente in tutte le Messe comunitarie però anche la richiesta di salute, di aiuto nei momenti difficili. In un contesto dove sono presenti anche molte altre religioni la religione cattolica rimane il riferimento più cercato. Ma c’è anche una certa conflittualità soprattutto da parte di altre religioni per differenti motivi, di proselitismo certamente al quale si somma una certa ideologia politica che strumentalizza la religione a fini elettorali».
Il contesto sociale?
«Sicuani è una grande città, adesso conta 60.000 abitanti, ed è un punto di riferimento per le zone limitrofe dell’area più rurale, però anche punto di passaggio del commercio e anche dell’abilità umana che poi si dirige a altre grandi città della zona come Puno o Cuzco. La povertà è diffusa. Il lavoro fino adesso è molto informale. Per il lavoro molte volte anche le famiglie si rompono perché i genitori devono andare a cercare il lavoro dove ce n’è, molte volte nelle zone delle miniere, da dove poi è difficile ritornare, con altri problemi connessi alla stabilità delle persone e delle famiglie.
C’è allevamento a queste altitudini, molti prodotti agricoli, la gente si ingegna con tante forme di commercio e Sicuani è cresciuta moltissimo per effetto del commercio perché sta in un incrocio importante tra diverse zone. La povertà è dignitosa: la gente vive con poco e lo condivide. Una delle immagini più belle dei primi anni è stata in occasione di un terremoto. Ho visto una processione immensa di persone che portavano qualcosa per darla a quelle popolazioni che avevano visto distrutto tutto quanto. Anche i più poveri presentarsi con una borsa di fave o di patate nascoste sotto la giacchetta, la fila interminabile di 200, 300 persone che aspettavano il momento per consegnare e registrare un messaggio solidale alla radio della Diocesi. Cose belle, Sicuani si chiama anche capitale della solidarietà e è stato un esempio in quello. Ci sono cambi epocali che passano anche un po’ prima della pandemia e dopo la pandemia e con il tema dell’individualismo e dei processi di allontanamento di certe dinamiche sociali. Poi c’è la frattura familiare quando i genitori molte volte si separano non c’è un matrimonio stabile quindi è facile che le coppie scoppino e si inizia una nuova relazione. Abbiamo famiglie con figli di due o tre genitori diversi, quindi la la solitudine affettiva e anche l’appoggio materiale che soffrono i bambini e i giovani. È alta la statistica della violenza familiare, che abbraccia anche la violenza sessuale dentro la famiglia, la violenza fisica e l’abbandono. C’è un fenomeno che anche ci interessa relativamente, però ci interessa, ed è la tratta di persone: molte ragazze raggirate da persone senza scrupoli, promettendo buoni guadagni, vengono portate via, facendo perdere la traccia delle origini.
La Chiesa che ruolo svolge?
«In tutto questo, la Chiesa locale, da sempre – la prima Prelatura, nel 1959 è stata creata scorporandola dalla il diocesano di Cusco, che era immensa – ha iniziato nel tempo della violenza politica a essere un riferimento per la società, con i mezzi di comunicazione e le strutture di servizio. Mi piace ricordare la Caritas, soprattutto la Vicaria di solidarietà, che è l’ufficio diocesano dei diritti umani, e le altri istituzioni che accompagnavano le donne nella loro formazione, i catechisti nella loro formazione integrale, non solo dottrinale ma anche sociale, le istituzioni della Diocesi per trovare il lavoro per i giovani, e le strutture anche di servizio per i bambini sordomoti, la scuola per i bambini con abilità differenti, strutture di servizio sanitario che ha due centri importanti oggi nella Diocesi. Con tutto questo il Vangelo non è una sola Parola parlata, ma anche un gesto concreto. Oggi pensando al tema del Giubileo possiamo dire che è segno di speranza per le persone più svantaggiate. Viviamo l’impegno di una Chiesa effettivamente solidale, attenta a stare con le persone più bisognose».
Barbara Murgia
IL SEGNO/ Un aiuto dalla Diocesi
Come consuetudine, in occasione della Giornata del malato, l’Ufficio diocesano di Pastorale della salute, in collaborazione con l’Ufficio missionario, ha deciso di devolvere le offerte della Messa per sostenere un luogo di cura in terra di missione, quest’anno in particolare è stata individuata la missione di don Luciano Ibba. Per coloro che volessero contribuire con un’offerta è ancora possibile farlo tramite bonifico entro il 15/03/2023 intestato a:
Diocesi di Nuoro
Banca: UNICREDIT SPA
IBAN: IT34N0200817302000004299287
Causale: Missione di don Luciano Ibba.
Chi ha realizzato l’intervista.
La psicologa Barbara Murgia, dirigente presso il Consultorio della Asl di Nuoro, ha raggiunto il Perù per un periodo come volontaria per aiutare nelle necessità quotidiane, nell’accudimento e nell’animazione dei ragazzi. Dal punto di vista professionale ha prestato sostegno alle attività psicologiche della Posada in un momento di transizione.
