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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani

La pagina evangelica domenicale si apre con una richiesta che, nelle nostre labbra, può innalzarsi a Dio come una supplica: «Accresci in noi la fede!». In un mondo che si affanna disperatamente verso il successo e la ricchezza, la Scrittura ci chiede di aprire gli occhi e, sollevando le mani, chiedere, attraverso il dono della fede, di essere liberati dalla spirale che attanaglia il cuore e lo rende schiavo di ciò che ricerca. Il pellegrino di Speranza è colui che, riconoscendosi piccolo, chiede il dono della fede; il dono di poter entrare in una relazione che scombina le priorità e ne modifica la meta. La fede è «capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo» (LF 4). Essa non è un qualcosa di materiale che può essere acquistato attraverso un tariffario ma è un dono che chiede di essere accolto con disponibilità. Esso non è ingombrante eppure è capace di cose grandi.
Le Sacre Scritture, storie di incontri, ci narrano di tanti uomini e donne che hanno riscoperto nella fede il senso e la missione della propria vita; le storie dei santi narrano incontri vissuti. Sfuggiamo la tentazione di pensare che queste cose sono troppo lontane da noi e diciamo con Agostino: «Se questi e queste – riferito ai Santi e alle Sante del suo tempo – perché non lo posso essere anch’io». Le cose straordinarie che Dio ha compiuto attraverso e nella vita dei Santi sono dei doni frutto di un’esistenza che, profumando di Vangelo, conserva in sé il piccolo seme della fede. L’uomo è il depositario di questo dono; il cristiano è colui che lo accoglie e, offrendosi come terreno fertile, permette a Dio di far crescere ciò che Egli stesso ha piantato.
In questo particolare significato l’uomo è definito servo. Il cristiano si rimbocca le maniche perché sente la necessità di rispondere alla chiamata del Vangelo che ormai non è più un qualcosa di imposto o una convenzione sociale ma una voce che da dentro spinge a fare dell’amore umile e servizievole la misura della vita. Non potendola comprare al chilo o al litro la fede si accoglie come un dono, «si rafforza per mezzo dello Spirito Santo» (Cirillo di Alessandria). Solo così non sentiremo il peso di una vita che, non nascondiamolo, è composta di «gioie e speranze, tristezze e angosce» (GS 1). Lo stile del cristiano è quello di un servo che, consapevole di non essere meritevole di niente, accetta tutto come Grazia e non pretende necessariamente una ricompensa immediata. La traduzione letterale «servi inutili» può essere anche questa: «non meritevoli di nulla». Dio chiede all’uomo di essere in relazione con Lui, non con le ricompense che ne può trarre; esse infatti possono facilmente trasformarsi in idoli che più che portarci alla Vera libertà e umanità ci inducono a una disumana schiavitù.
La corsa del mondo di oggi verso il progresso a discapito della vita, della ricchezza a danno della fraternità e del prestigio a danno dell’amore è un cancro da combattere. Quella spirale, che porta ad affogare l’uomo, può essere vinta con la fede in un Dio che ha voluto salvare l’uomo dalla sua schiavitù. «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Fuggiamo dalla logica mondana che vuole ridurre l’uomo ad un consumatore e un numero per riscoprire, nella fede, la dignità di ogni uomo. Allora il nostro fare, a favore della pace e della vita, non sarà un impegno gravoso ma la naturale conseguenza del nostro essere immersi in una relazione con Dio che è Amore.