Siamo fatti per il cielo
Commento al Vangelo di domenica 28 settembre 2025 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
di Federico Bandinu
Lazzaro e il ricco epulone, illustrazione dall’Evangeliario di Echternach (1035-1040 ca)
4' di lettura
25 Settembre 2025

«I poveri infatti li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Spesso il Vangelo e in modo particolare pagine come quelle di questa domenica sono prese, spesso da non credenti, come punto di partenza per un’accusa pesante contro la vita privata o sociale dei cristiani. Sicuramente diventa uno stimolo per i credenti a vivere una vita in semplicità e sobrietà, più aderente al Vangelo. Questo, tuttavia, non dev’essere un punto di arrivo ma un passaggio che porta ad una comprensione più alta. Le sacre scritture non sono dei ricettacoli di precetti morali o sociali ma sono l’occasione per incontrare Cristo.

È vero che è importante combattere la povertà, affinché il mondo sia un luogo «dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco» (Populorum Progressio 47), ma è ancora più importante scoprire che siamo creati, guidati e redenti per incontrare Cristo ed entrare nella primavera della Vita Eterna. Infatti il tema centrale della pagina evangelica non è tanto la contrapposizione tra ricchezza e povertà, che in assoluto non sono moralmente né disprezzabili né lodabili, ma la Vita Eterna. «Il ricco non abbia timore delle ricchezze, ma dei vizi; non tema di avere ma la bramosia di avere. Sia facoltoso come Abramo ed abbia, con le ricchezze, la fede: conservi, possegga, non si lasci possedere» (Agostino). I protagonisti sono tre: Abramo, Lazzaro e l’uomo facoltoso. Abramo, padre della fede, è colui che personificando la paternità guarda con benevolenza i suoi figli rispettandone la libertà e le scelte; Lazzaro è un povero emarginato – i cani che leniscono le piaghe descrivono il suo status sociale – ma desideroso; l’uomo ricco, di cui non ricordiamo nulla se non i suoi possessi, ha tutto e può dedicarsi alla dissoluzione oziosa e a vivere nella bambagia. Ciò che fa la differenza tra i due ultimi personaggi è il desiderio e la fame. La Speranza, di cui tanto sentiamo parlare quest’anno giubilare, non è altro che la sete di una fonte d’acqua pura capace di donarci nuova vita. Dopo una vita vissuta arriva il tempo del giudizio misericordioso; il tempo in cui ci presentiamo a Dio con la nostra libertà per mostrare dove è attaccato il cuore. Il povero sintonizza il suo desiderio con la Speranza che lo porta in alto «accompagnato dagli angeli»; il ricco appesantito si ferma nel sepolcro, sicuramente monumentale e bello, ma pur sempre un sepolcro. Mentre il povero era abituato a sollevare gli occhi e tendere la mano anelante per i suoi bisogni per il ricco è un tormento doverlo fare essendo costretto a chiedere qualcosa. Il cristiano non può cadere nella tentazione diabolica dell’autosufficienza ma deve riconoscersi totalmente dipendente da Colui che l’ha creato, in relazione con Colui che l’ha riscattato dalla sua miseria e attratto da Colui che lo può innalzare, attraverso la leggerezza della libertà, verso la Vita in Dio. Il ricco prova a supplicare il Padre di ottenergli Misericordia ma non lo fa per Amore ma per paura. Il cristiano non vive il proprio cammino di santità per paura dell’inferno ma per la gioiosa Speranza che «siamo fatti per il Cielo» (Beato Alberto Marvelli). A noi che spesso siamo attratti più dalle ricchezze della terra piuttosto che da quelle del cielo è dato un consiglio: «hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro»; «se tu ascoltassi loro ascolteresti Cristo» (Girolamo). Non sono i prodigi o le cose straordinarie che cambiano il cuore dell’uomo ma la scelta libera di voler, in ascolto della Parola di Dio e in relazione con Essa, essere amato e resi capace di amare.


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