Dati societari
L’Ortobene
Piazza Vittorio Emanuele 8
08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La parola libertà oggi viene usata molto spesso, sia per indicare libertà politica, libertà di parola o libertà di esprimersi per come si è. Queste espressioni rientrano tra le libertà civili, ovvero i diritti che appartengono ai cittadini di uno stato. Le libertà sono legate alla vita civile perché tramite queste si regolano i rapporti tra le persone. Rispettando la libertà altrui si vive in comunità serenamente, evitando scontri e soprusi. Dove inizia la libertà di una persona finisce quella di un’altra. Il termine “libertà”, che appare così moderno e sempre attuale, deriva in realtà ancora una volta da molto lontano, precisamente dall’antico latino. L’etimologia della parola è da ricondursi al latino libertas e, quindi, ad un contesto storico e sociale estremamente distante dal nostro. Naturalmente gli antichi Romani non avevano la nostra stessa concezione di libertà, perciò, nonostante il termine libertas si possa tradurre anche con libertà, dobbiamo tener conto della differenza tra la nostra e la loro epoca.
Liber possiede numerosi significati e valenze: infatti ha valore sia di aggettivo, con le traduzioni libero, indipendente, autonomo, esente, senza impedimenti, sia di sostantivo, con le traduzioni libro, opera, scritto (al singolare) o figli (al plurale). Per i Romani, dunque, un uomo libero era un uomo sciolto da ogni vincolo o legame che lo rendesse schiavo o subordinato e che, quindi, lo ponesse in una posizione di soggezione e completa inferiorità. Per essere veramente liberi era necessario possedere la condizione di uomo libero e la cittadinanza per la legittimazione di diritti e garanzie indispensabili. La cittadinanza romana infatti permetteva all’individuo libero di godere di un insieme di diritti che riguardavano ogni aspetto della vita quotidiana: poteva votare in assemblee e comizi, sposarsi legalmente e avere quindi figli legittimi che ne raccogliessero l’eredità, possedere beni, presentarsi alle elezioni e accedere alle cariche pubbliche, partecipare ai sacerdozi e arruolarsi nella legione. Poteva inoltre dedicarsi a qualsiasi attività commerciale in territorio romano. Nell’ambito della giustizia, il cittadino poteva intraprendere azioni giuridiche davanti a un tribunale romano, essere assistito dal tribuno della plebe e ricorrere in appello contro le decisioni dei giudici. Solo in questo modo la res publica riconosceva la libertas: era un diritto acquisito e non posseduto naturalmente dall’uomo, idea molto diversa rispetto a quella attuale. Solo coloro che erano considerati cittadini romani, e quindi completamente liberi, avevano la possibilità di partecipare alle questioni pubbliche di Roma, acquisendo la libertà politica e di parola. La libertà veniva messa in pericolo quando questi requisiti venivano contestati, e trovava fine quando assenti.
Il culto della Libertas (Eleutheria in greco) fu sempre molto caro al fiero popolo dei romani e pertanto fu spesso rappresentato anche sulle monete. Essa venne considerata e onorata come divinità almeno fin dall’età regia, in cui le dedicarono templi ed eseguirono per lei dei sacrifici. I cittadini erano, però, anche liberi, ovvero figli, e di conseguenza appartenevano ad un gruppo, ad una famiglia, che rispettavano e che onoravano. Essere riconosciuti come liberi, cioè appunto come figli, era di fondamentale importanza per lo status di cittadini, poiché questo termine indicava una legittima parentela.
A spiegare meglio questo concetto è una frase di Cicerone: «Qui est matre libera liber est» (è uomo libero chi è figlio di madre libera). Questo significa dunque che una persona non poteva essere libera, se non lo erano anche i genitori. Si definiva libertà l’esenzione da certi obblighi: Ccivitates liberae atque immunes», (Stati indipendenti e non soggetti a tributi, Livio); era dunque vista come libera una comunità che, per esempio, non doveva versare tributi.
Si può dunque notare un altro significativo dettaglio, ovvero il fatto che gli antichi, vivendo in una società “solida”, vedevano la libertà come un qualcosa di collettivo, come caratteristica di un gruppo di persone. La società romana era compatta (i cittadini avevano il potere mentre gli schiavi erano senza diritti), definita da molte norme comportamentali (il mos maiorum), che non potevano in nessun modo essere trasgredite, e da un concetto di collettività, che descriveva e comprendeva tutti i cittadini romani. Difatti, se anche un solo cittadino trasgrediva una di quelle regole, il disonore (la peggior cosa che potesse accadere ad un uomo) non ricadeva sul singolo individuo, ma su tutta la famiglia, su tutta la città e, se molto grave, addirittura su tutta Roma (è la cosiddetta “cultura della vergogna”).
Ed allora la parola libertas è declinata necessariamente in ambito politico. La repubblica poi in latino è detta res publica, letteralmente “cosa pubblica”, fa riferimento alle “cose comuni”, e la parola civitas indica la “cittadinanza”, ma può riferirsi anche al “complesso dei cittadini” ed alla “città” nel senso proprio della esaltazione della comunità, della collettività.
Oggi noi la pensiamo diversamente anche a causa del fatto che la società in cui viviamo è detta “liquida” (secondo la famosa definizione del sociologo polacco Zygmunt Bauman), e pone al centro il singolo, non la comunità. Ed allora il concetto di libertà viene rimarcato soprattutto da un punto di vista individualistico rispetto alla possibilità di compiere le proprie scelte. Consideriamo poi gli emarginati, che non hanno possibilità di godere della libertà, o coloro che subiscono delle limitazioni: ad esempio ancora oggi in diverse parti del mondo contemporaneo le donne sono escluse dalla vita politica e private di determinati diritti privilegi.
Senza libertà non potremmo fare nessuna delle cose che diamo per scontate ogni giorno: esprimere la nostra opinione su qualsiasi argomento, in qualunque luogo e in qualunque momento; muoverci nella direzione che ci interessa; praticare attività che ci appassionano. Non esiste, dunque, niente di più prezioso. Non dimentichiamo di essere quotidianamente grati per un enorme privilegio tuttora negato a milioni di persone nel mondo.
A cura degli alunni della classe III C del Liceo Classico “G. Asproni” di Nuoro: Sofia Cabitza, Chiara Concu, Lucianna Delogu, Clara Ena, Maria Grazia Rita Goddi, Beatrice Loi, Lucia Tola, Yuliana Usai.
Coordinamento didattico: Venturella Frogheri